I Fossili. Ricerca e Preparazione.

Per trovare un fossile, bisogna innanzi tutto sapere dove cecare. I luoghi ideali sono quelli dove era possibile la fossilizzazione, cioè dove poteva avvenire il seppellimento e la conservazione del resto.
Allora bisogna cercare nelle rocce sedimentarie, oppure in sedimenti antichi non ancora litificati (cioè non ancora trasformati in roccia). Anche in questo caso però devo precisare che questi sedimenti, o queste rocce devono essersi accumulati e formati in ambienti a bassa energia in cui l’organismo sia stato danneggiato il meno possibile durante il seppellimento, ovvero non sotto ad una grande frana oppure nel letto di un fiume… L’ideale è sempre un bacino di acqua piuttosto profondo (qualche centinaio di metri)e relativamente isolato, in cui si depositano strati di sedimenti molto regolari e laminari… Questi, una volta trasformati in roccia, si apriranno in modo relativamente facile.
E’ in questo tipo di rocce che si va a cercare solitamente, ma le casistiche sono davvero varie ed innumerevoli…

Stefano Rossignoli 23 Settembre 2009

Two fishes in one from Former Worlds on Vimeo.

Chi non si è mai chiesto:”Ma come si fa a trovare un fossile?” e soprattutto quante volte me lo hanno chiesto in giro per mostre e musei…
“Ma come fate a sapere che sono lì? Esistono strumenti per determinarne la presenza?”.

Sono anni ormai che mi occupo di scavi paleontologici e, pur avendo un’esperienza ancora limitata, qualche fossile l’ho estratto anche io in situazioni molto diverse tra loro e vedrò di parlarne un attimo…
Mi riferirò ai fossili relativamente grandi, per quelli microscopici ci penseremo più in là!
Prima di tutto, che cosa si intende per ‘fossili’? Questi sono i resti degli organismi vissuti nel passato, purchè siano riconoscibili come tali. Sono comprese tra i fossili anche le tracce di attività biologica, ma per questo vi rimando a questo mio articolo dedicato…‘I fossili. Cosa sono e come si conservano.’.
Per trovare un fossile, bisogna innanzi tutto sapere dove cecare. I luoghi ideali sono quelli dove era possibile la fossilizzazione, cioè dove poteva avvenire il seppellimento e la conservazione del resto.
Allora bisogna cercare nelle rocce sedimentarie, oppure in sedimenti antichi non ancora litificati (cioè non ancora trasformati in roccia). Anche in questo caso però devo precisare che questi sedimenti, o queste rocce devono essersi accumulati e formati di solito in ambienti a bassa energia in cui l’organismo sia stato danneggiato il meno possibile durante il seppellimento, ovvero non sotto ad una grande frana oppure nel letto di un fiume (anche se in alcuni casi si possono trovare fossili anche lì!)… L’ideale è sempre un bacino di acqua piuttosto profondo (qualche centinaio di metri)e relativamente isolato, in cui si depositano strati di sedimenti molto regolari e laminari… Questi, una volta trasformati in roccia, si apriranno in modo relativamente facile.
E’ in questo tipo di rocce che si va a cercare solitamente, ma le casistiche sono davvero varie ed innumerevoli…
Può venire l’idea che i paleontologi o i loro collaboratori vadano a cercare i fossili col sottomarino, sott’acqua, ma questo non è possibile e non avviene praticamente mai.
Si cerca nei depositi o nelle rocce antiche che affiorano e che non sono più immerse. Ma come è possibile?
Questo è possibile grazie ai movimenti continui della crosta terrestre.
Quando due parti della crosta vanno in collisione, il mare tra loro compreso si ‘chiude’ e questo urto al rallentatore provoca la compressione e l’innalzamento delle rocce formatesi nel bacino marino fino a che queste possono affiorare.
Famosa è la collisone tra una placca di origine africana e il sud dell’Europa. Questa ha dato origine alle Alpi ed è cominciata circa 44 milioni di anni fa (44ma). Un po’ meno famosa, ma certamente efficace è la collisione tra India ed Asia meridionale che ha dato origine alla catena dell’Himalaia.
Una volta determinata la zona di scavo, vediamo come si procede nelle operazioni. E’ da sottolineare che nello studio dei fossili è importante un approccio evoluzionistico, senza il quale tutto sarebbe inutile, quindi bisogna sempre cercare di capire quali cambiamenti hanno subito gli ecosistemi del passato…
Per fare ciò è importante avere dei riferimenti temporali nella zona di scavo, quindi bisogna conoscere l’età delle rocce o dei sedimenti in cui si scava e soprattutto bisogna dare importanza agli strati di roccia o sedimento in cui si scava. Già, perchè, salvo rare eccezioni, gli strati che stanno più in basso sono più antichi di quelli che stanno più in alto, semplicemente perchè stanno sotto, quindi sono stati depositati lì prima! Gli strati vanno dunque numerati…
Ogni volta che verrà recuperato un fossile quindi verrà catalogato in base allo strato in cui è stato trovato, così sapremo quali sono i più antichie quali i più recenti.
In particolari situazioni, può essere importante anche praticare una divisione orizzontale a griglia (come quella della battaglia navale), laddove la distribuzione orizzontale dei fossili possa avere importanza…
Comincia così lo scavo nel quale si cerca di rompere e sfogliare le rocce come fossero antiche pagine di un libro, oppure si scava grattando via strato per strato quando ci si trova in sedimenti non o poco litificati. E’ importante ovviamente prestare la massima attenzione nel non danneggiare i fossili, cosa che ci potrebbe far perdere una certa mole di informazioni.
Ma come si vedono i fossili? Anche qui i casi sono molteplici, ma diciamo che stiamo cercando resti di esseri viventi, piante o animali che siano. Con l’abitudine ci si fa l’occhio come si suol dire, a volte il fossile si vede molto bene, nel sedimento o sulla superficie di uno strato. Il difficile è quando lo si trova all’interno dello strato stesso per cui è importante osservare gli strati estratti anche lateralmente e non solo sulle superfici alta e bassa…
Una volta raccolti e catalogati i fossili, arriva il momento del trasporto nei laboratori di preparazione. Anche questa fase non è banale se si considera anche il fatto che a volte gli scavi sono in zone difficilmente accessibili come grotte, cenge rocciose o pendii scoscesi… Ci si trova spesso con decine di chili nello zaino a camminare in zone davvero improbabili!!!

Nei laboratori, i tecnici esperti o molto spesso i paleontologi stessi devono ripulire letteralmente i fossili considerati più interesssanti. Questa fase è detta ‘preparazione’.

Questi ad esempio http://paleoitalia.org/places/2/grignone/ li abbiamo preparati io e una mia collega! …qualcosa già lo avete già visto nel video di apertura…

 

Se il sedimento è normale terriccio o argilla è sufficiente un lavaggio fatto con delicatezza, magari con un morbido spazzolino per rimuovere la terra anche negli angoli del fossile.
Se invece il fossile è ricoperto di roccia, il lavoro può diventare enormemente lungo anche per fossili molto piccoli.
Lo strato di roccia viene rimosso dal fossile con estrema attenzione, a volte a mano, a volte con l’ausilio di strumenti pneumatici come vibro-incisori e sabbiatrici. La finitura viene solitamente realizzata manualmente.
Molto spesso il lavoro si svolge al microscopio binoculare, soprattutto laddove si deve prestare attenzione a non rovinare particolari molto piccoli del fossile. Immaginate i sottili raggi della pinna di un pesce ad esempio…
La preparazione può concludersi fissando il fossile con resine o collanti che ne garantiscano una certa durabilità.
Questa è la lunga storia di un fossile, ma solo assistendo ad uno scavo si possono vedere la moltitudine di casistiche che ci si trova ad affrontare in sito e solo preparando molti fossili ci si può rendere conto di quanto complessa o semplice possa essere la fase di preparazione.

Come penso ormai da tempo, ogni fossile è diverso da un altro, come se vivesse per la seconda volta. Alcuni hanno un ‘carattere’ abbordabile, altri si rivelano ostici e difficili… Sta a noi saperci approcciare nel modo giusto o il fossile, qualunque esso sia, si prenderà gioco di noi!!!

LEGGI ANCHE:

Lo scavo Paleontologico

Le attrezzature per cercare i fossili (Video)

Clicca qui per visitare il sito di Paleontologia dei Vertebrati dell’università Statale di Milano

Come si mette a fuoco un microscopio binoculare?

Mettere a fuoco il microscopio binoculare.
L’unico modo per poter lavorare a lungo e con estrema precisione con questo strumento

Stefano Rossignoli 19 agosto 2009

Microscopio binoculare

Per lavorare decine di ore alla settimana al microscopio, o semplicemente per lavorare bene, è importantissimo mettere a fuoco lo strumento nel migliore dei modi.
Mi capita spesso di vedere microscopi usati male e questo provoca affaticamento della vista e mal di testa, oltre che una mancanza di precisione nel lavoro effettuato, magari solo per la pigrizia di effettuare questa semplice operazione.

Per mettere a fuoco correttamente un binoculare, bisogna innanzi a tutto conoscerlo.
Normalmente è dotato di una ghiera per cambiare gli ingrandimenti, di una vite per la messa a fuoco generale e anche sugli oculari ci possono essere una o addirittura due ghiere per la messa a fuoco indipendente degli oculari stessi.
1 – Indipendentemente dal numero di ghiere sugli oculari, queste vanno poste sullo zero.
2 – Si pone un oggetto sotto il microscopio ad ingrandimento medio (16-25), si osserva l’oggetto chiudendo un occhio (quello dell’oculare senza ghiera oppure se ogni oculare ha la ghiera, se ne chiude uno qualsiasi) e si mette a fuoco con la vite per la messa a fuoco generale.
3 – Si apre l’occhio, si attende un attimo perchè si riabitui alla luce, si chiude l’altro e si osserva mettendo a fuoco solo con la ghiera dell’oculare.
4 – Il gioco è fatto. Ora siete pronti per lavorare con tutti e due gli oculari a fuoco perfetto. Solo un attimo ancora perchè gli occhi si riabituino entrambi alla luce e potrete cominciare la vostra attività regolando il microscopio solo con la vite per la messa a fuoco generale.
Un piccolo consiglio: se lavorate al microscopio per la prima volta (oppure quando cambiate strumento), ripetete le operazioni di messa a fuoco ogni mezz’ora per le prime ore di lavoro, in modo da essere certi di una perfetta regolazione.

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