Dai Dinosauri agli Uccelli: (Parte 3) alcune novità…

Daniele Tona 22 dicembre 2012

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Daniele Tona

I risultati degli ultimi anni di ricerche paleontologiche sono continuamente da aggiornare, complici i nuovi ritrovamenti di fossili e le nuove metodologie di indagine.

Non è certo sfuggita questa nuova mole di dati al nostro esperto di Dinosauri.

Daniele Tona, con la sua scrittura chiara e come sempre accattivante, ci aggiorna sugli ultimi ritrovamenti riguardanti i dinosauri che si trovano nei pressi della linea evolutiva che ha portato agli uccelli.

Godiamoci quindi questo ricco aggiornamento ai due articoli precedenti di Daniele.

Buona lettura! (S.R.)


Un paio di anni fa sulle pagine di questo blog parlammo (in due articoli) del legame tra i dinosauri e gli uccelli, e di come nel corso dell’evoluzione dei dinosauri, e in particolare del gruppo dei Theropoda, siano comparse e si siano sviluppate le caratteristiche che osserviamo nei volatili odierni.

Ecco i due articoli:

Dai dinosauri agli uccelli (Parte 1)

Dai dinosauri agli uccelli (Parte 2)

Da allora la paleontologia ha fatto molti progressi in questo campo, e le nostre conoscenze sui dinosauri piumati e sull’origine ed evoluzione delle piume sono cambiate anche in modo sorprendente. Vale quindi la pena di tornare sull’argomento e di dare un’occhiata a tre nuovi dinosauri scoperti negli ultimi mesi che hanno gettato una nuova luce sull’enigma della comparsa delle piume…

Rauhut et al. (2012) descrivono Sciurumimus albersdoerferi, il cui nome significa “imitatore dello scoiattolo di Albersdöfer”, dalla combinazione di Sciurus, il nome scientifico dello scoiattolo, e mimos, parola greca che significa appunto “imitatore”; il nome della specie è un riconoscimento a Raimund Albersdöfer, che ha finanziato lo scavo che ha permesso di rinvenire l’animale.

Sciurumimus è un cucciolo di teropode lungo circa 70 cm scoperto presso Painten, nella regione tedesca della Baviera. L’esemplare era conservato in un calcare micritico laminato corrispondente alla parte superiore della Rögling Formation, depostasi durante il tardo piano Kimmeridgiano del Giurassico Superiore, all’incirca 152 milioni di anni fa.

Si tratta di un esemplare rimarchevole dal punto di vista della conservazione, essendo praticamente completo e in connessione anatomica. Ma oltre a una così eccezionale preservazione dello scheletro, Sciurumimus ha anche la particolarità di presentare tracce delle parti molli identificate come strutture tegumentarie, con la possibile eccezione di una traccia lungo il margine posteriore della tibia che gli autori suggeriscono possa costituire un residuo di tessuto muscolare.

I tessuti molli meglio preservati si trovano sulla coda, con grandi porzioni di pelle associate a filamenti lunghi e sottili dall’aspetto simile a peli, la cui lunghezza arriva fino a due volte e mezza l’altezza delle vertebre caudali sottostanti. Filamenti più corti si osservano sul lato ventrale della coda, sopra alle vertebre dorsali e sul ventre. Queste strutture filamentose sono state interpretate come piume di tipo 1, ossia come dei monofilamenti con un diametro massimo di 0,2 mm, dei quali non è stato però possibile stabilire se fossero internamente cavi. In taluni casi i filamenti sono associati a strutture cutanee a forma di U o di Y, ritenute dei possibili follicoli comparabili a quelli associati alle penne degli uccelli.

Le analisi filogenetiche condotte dagli autori collocano Sciurumimus tra i tetanuri basali; più precisamente lo inseriscono in Megalosauroidea come un megalosauride basale; apparterrebbe quindi a un gruppo più basale rispetto a tutti gli altri teropodi piumati finora conosciuti, che sono dei celurosauri. Gli stessi autori, tuttavia, sottolineano come tale risultato sia da prendere con le dovute cautele, poiché l’esemplare è ad uno stadio di sviluppo molto precoce. Diversi caratteri anatomici come le generali proporzioni corporee, la testa grande rispetto al resto del corpo, l’assenza di fusione di vari elementi ossei e il pattern di sviluppo dei denti molto regolare (segno che i denti non erano ancora stati sostituiti) sono chiare indicazioni che si tratta di un animale ancora molto giovane. Vista la stretta parentela con gli uccelli e il piumaggio che lo ricopriva, potremmo quasi dire che Sciurumimus era ancora un pulcino.

Se la sua collocazione sistematica dovesse dimostrarsi solida la scoperta di Sciurumimus dimostrerebbe che anche i tetanuri basali sviluppavano una copertura di piume almeno allo stadio giovanile. Se dovesse essere smentita da futuri ritrovamenti, e Sciurumimus si rivelasse come un dinosauro più derivato, la sua importanza come fossile non ne sarebbe comunque intaccata, poiché si tratta di uno dei dinosauri meglio conservati al mondo, e uno dei pochi “pulcini” di teropode noti. Il paragone con il celeberrimo Scipionyx – Ciro per i non addetti ai lavori – è immediato, e sebbene Sciurumimus manchi degli organi interni che invece si osservano in Scipionyx, a differenza di quest’ultimo mostra traccia della copertura del corpo di cui difetta il teropode italiano.

In ogni caso, la sua scoperta aiuta a colmare il divario tra i monofilamenti osservati in alcuni dinosauri ornitischi (come Psittacosaurus e Tianyulong ) e le strutture più complesse esibite dai celurosauri più derivati. Gli autori sostengono che il ritrovamento di tracce di pelle coperta da squame in fossili di alcuni gruppi di dinosauri non escluderebbe forme piumate nell’abito di tali gruppi, in quanto squame e piume potevano tranquillamente coesistere (basta guardare le squame che coprono i piedi delle galline per avere un’idea); in alternativa, è possibile che i dinosauri più grandi perdessero le piume una volta raggiunto lo stadio adulto; o ancora, l’assenza di tracce di piumaggio potrebbe semplicemente derivare dalla conservazione in sedimenti grossolani sui quali strutture più grandi e resistenti come le squame potrebbero aver lasciato un’impressione al contrario delle piume più delicate e sottili.

Xu et al. (2012) descrivono Yutyrannus huali, un grosso teropode proveniente dalla Cina, più precisamente dalla zona di Batuyingzi, nella provincia di Liaoning; è stato rinvenuto in rocce della Formazione Yixian databili a circa 125 milioni di anni fa, durante il piano Aptiano del Cretaceo Inferiore. Il nome scientifico di questo animale significa “tiranno piumato” e deriva dalla combinazione del termine cinese yu (piuma) e del latino tyrannus (tiranno), mentre il nome specifico huali si traduce dal cinese in “bello”, in riferimento all’eccellente stato di conservazione del piumaggio.

Dal suo nome si può già intuire la parentela di Yutyrannus. Esso infatti è stato inserito nei Tyrannosauroidea, e si colloca in una posizione basale rispetto alla famiglia Tyrannosauridae a cui appartiene, fra gli altri, Tyrannosaurus rex. Yutyrannus è uno dei quattro taxa di tirannosauroidi noti dal Cretaceo Inferiore cinese, la cui diversità dal punto di vista morfologico testimonia un’importante radiazione avvenuta nel corso della storia evolutiva di un gruppo noto dal Giurassico Medio sino alla fine del Cretaceo e che non annoverava tanto predatori colossali vissuti alla fine dell’era Mesozoica quanto animali di taglia relativamente piccola.

Di certo, Yutyrannus può essere di diritto inserito tra i pesi massimi del gruppo: uno dei tre esemplari oggetto dello studio, pressoché completi dal punto di vista della preservazione, è un adulto la cui massa corporea è stata calcolata attorno ai Leggi tutto “Dai Dinosauri agli Uccelli: (Parte 3) alcune novità…”

Paleodays – Relazione dalle Giornate di Paleontologia della Società Paleontologica Italiana

Daniele Tona 6 giugno 2012

CATANIA, 23-26 MAGGIO 2012

Daniele Tona
Daniele Tona

Nei giorni 24, 25 e 26 maggio si è tenuta la XII edizione delle Giornate di Paleontologia organizzate dalla Società Paleontologica Italiana. Si tratta di un evento che ogni anno riunisce i membri della società e in cui vengono presentati, sotto forma di comunicazione orale o di poster, i risultati della ricerca svolta dalla comunità paleontologica italiana.

Il convegno di quest’anno è stato organizzato dall’Università di Catania, che ha ospitato i partecipanti nella sua sede di Corso Italia presso l’aula magna del Palazzo delle Scienze, e Scienzafacile era presente con una piccola delegazione, rappresentata da chi scrive come semplice uditore, e dall’amico e co-collaboratore del blog Davide Bertè che ha presentato una comunicazione sui resti di Canis etruscus dal sito villafranchiano di Pantalla (Perugia) e un poster sulla fauna a mammiferi del Galeriano rinvenuta nella grotta del Cerè presso Ceredo (Verona).

La prima giornata di convegno è stata interamente dedicata alle comunicazioni orali, che hanno toccato numerosi argomenti: foraminiferi, brachiopodi, mammiferi, tracce fossili di ogni tipo (fra cui ben tre presentazioni dedicate ai tetrapodi mesozoici che il sottoscritto ha particolarmente apprezzato), e vari studi paleoecologici riguardanti foraminiferi, molluschi, briozoi e altri organismi.

Davide Bertè
Davide Bertè

Durante la pausa pranzo il convegno si è poi spostato all’orto botanico di Catania dove il direttore, oltre a offrire un ricco buffet, ha guidato una breve ma interessante visita alla struttura. L’orto ospita molte varietà di piante, riunite in base all’affinità tassonomica sia in aiuole all’aperto che all’interno della serra climatizzata. Degni di nota sono gli allestimenti dei vari ambienti tipici del paesaggio siciliano (macchia mediterranea, duna, acquitrino e così via) popolati dalle specie vegetali tipiche dell’isola, con il pregio di riunire in un’area ridotta le differenti associazioni osservabili in Sicilia.

Dopo la sessione pomeridiana di comunicazioni, la prima giornata di convegno si è degnamente conclusa con la cena sociale tenuta in uno dei molti ristoranti del centro di Catania.

Nella giornata di venerdì si è tenuta l’escursione, che ha toccato due località in provincia di Messina. La prima meta è stata il sito di Acquedolci, dove sono stati studiati tre depositi a vertebrati terrestri del Pleistocene. Il più antico è un deposito a Hippopotamus pentlandi, una specie di ippopotamo endemica della Sicilia, databile al cosiddetto Complesso Faunistico a Elephas mnaidriensis, uno dei cinque complessi faunistici a vertebrati pleistocenici riconosciuti in Sicilia che corrisponde al tardo Pleistocene medio, circa 350.000 anni fa. Peculiarità del deposito, accumulatosi al fondo di un bacino lacustre ai piedi di una falesia di calcari giurassici, è che i resti sono stati conservati in situ, protetti dalle intemperie per mezzo di coperture trasparenti che ne permettono l’osservazione.

Gli altri due depositi di Acquedolci sono più recenti, e si trovano nella grotta di San Teodoro che si apre alcune decine di metri più in alto rispetto al deposito a ippopotami. Dei due depositi, il più antico è datato al Complesso Faunistico di Grotta San Teodoro – Pianetti (definito proprio grazie all’associazione rinvenuta nella grotta), e contiene resti dei grandi mammiferi endemici della Sicilia, tra cui Palaeoloxodon mnaidriensis, Bos primigenius siciliae, Equus hydruntinus e Crocuta crocuta speleaea. Quest’ultimo taxon in particolare, che altri non è se non la iena, è di particolare importanza poiché è stato il principale responsabile del trasporto e dell’accumulo delle ossa nel deposito, come indicano i segni lasciati su molti dei resti di grandi mammiferi rinvenuti nella grotta.

Sono noti anche resti di micromammiferi, importanti perché testimoniano la sostituzione della fauna endemica da parte di taxa continentali come l’arvicola e il riccio.

Il più recente dei tre depositi comprende resti umani appartenuti a sette individui, attualmente conservati presso i musei di Palermo, Firenze e Milano. Sei individui giacevano in uno strato argilloso sotto a un livello di ocra rossa, mentre il settimo e’ stato rinvenuto nel Leggi tutto “Paleodays – Relazione dalle Giornate di Paleontologia della Società Paleontologica Italiana”

PTEROSAURI, I RETTILI VOLANTI

Daniele Tona – 10 gennaio 2011

Mi permetto di scrivere quattro righe di presentazione a questo che più che un articolo, è un’utilissima guida per entrare nel mondo degli Pterosauri ed uscirne soddisfatti e pieni di nuovi  spunti. Chi erano, come erano fatti, cosa mangiavano, come volavano e come si muovevano a terra…

Daniele Tona ha colpito ancora ed ecco, tutto quello che volevate sapere su questi meravigliosi rettili volanti! (S.R.)

 

daniele tona
Daniele Tona

Durante l’era Mesozoica, prima che (come trattato in un precedente articolo) un gruppo di Dinosauri spiccasse il volo evolvendosi negli uccelli moderni, i cieli del pianeta erano popolati da eseri viventi tanto bizzarri quanto straordinarii: erano gli Pterosauri, il cui nome tradotto dal greco significa letteralmente “lucertole volanti”.

Prima degli Pterosauri, altri gruppi di rettili avevano già evoluto più volte e in modo indipendente strutture per il volo, ma esse erano semplici espansioni della cassa toracica che consentivano unicamente un volo planato di tipo passivo. Gli Pterosauri sono stati il primo dei tre gruppi di vertebrati noti (gli Pterosauri stessi, gli uccelli ed i mammiferi Chirotteri, ossia i pipistrelli) a modificare radicalmente il loro corpo onde sviluppare un volo attivo.

Fossili di Pterosauri sono noti fin dalla fine del Settecento, quando il naturalista Cosimo Collini descrisse dei resti rinvenuti nelle rocce calcaree di Solnhofen (le stesse da cui proviene Archaeopteryx) appartenuti a una forma di vita che identificò come un animale acquatico che usava le lunghe zampe anteriori come pinne. Fu solo ai primi dell’Ottocento che Georges Cuvier riconobbe la vera natura dell’animale, che fu così battezzato Pterodactylus (“dito alato”). Nel corso dei due secoli successivi sono state scoperte all’incirca un centinaio di specie di Pterosauri, straordinariamente diverse in termini di dimensioni, aspetto e nicchia ecologica. Per via del loro scheletro delicato i resti di Pterosauro si conservano raramente, e spesso sono frammentari; in taluni casi, però, i fossili si sono conservati eccezionalmente bene, ed è stato possibile determinare elementi come la copertura cutanea, il profilo delle ali o quello del corpo.

 

Ma quali sono questi adattamenti anatomici che hanno permesso agli Pterosauri di decollare per colonizzare i cieli del Mesozoico? Il primo, e più evidente, sono senz’altro gli arti anteriori trasformati in ali. La mano degli Pterosauri era infatti composta dalle prime tre dita (che in alcune delle forme più recenti, come Nyctosaurus, spariscono del tutto) e dal quarto dito, incredibilmente allungato per sostenere la membrana alare principale, chiamata brachiopatagio. All’altezza del polso era presente un osso esclusivo degli Pterosauri, lo pteroide, che sosteneva una seconda membrana più piccola detta propatagio ed estesa dal polso alla spalla; non si ancora da cosa derivi lo pteroide, che a seconda delle ipotesi è visto come un carpale modificato, il metacarpo del primo dito o un osso di neoformazione.

La peculiarità della membrana alare stava nella sua struttura interna: lungi dall’essere un semplice lembo di pelle come quello dei pipistrelli, era costituita da Leggi tutto “PTEROSAURI, I RETTILI VOLANTI”

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