Evoluzione e progresso

Spesso, parlando di evoluzione ai profani della materia, mi sento porre domande tipo: “Ma se l’uomo discende dalla scimmia allora perchè le scimmie non si sono evolute tutte in uomini?”. Questa domanda deriva da alcuni errori, purtroppo abbastanza comuni, nell’interpretazione della teoria darwiniana. Bisogna chiarire infatti che il termine “evoluzione” non è affatto sinonimo di “progresso”, come spesso viene utilizzato. Darwin nell’Origine delle specie infatti non utilizzò mai tale termine ma parlò sempre di “discendenza con modificazione” (potete verificarlo voi stessi andando a leggere l’opera in questione!). A questo punto sorge spontanea la domanda: ma se Darwin non ha mai utilizzato tale termine, com’è che la teoria ha finito per chiamarsi così?

 

 

Davide Bertè 4 gennaio 2011

Spesso, parlando di evoluzione a chi non ha studiato questa materia, mi sento porre domande come:“Ma se l’uomo discende dalla scimmia allora perchè le scimmie non si sono evolute tutte in uomini?”.

C .Darwin
C .Darwin dal libro 'Darwin 1809 2009' di Niles Eldredge

Questa domanda deriva da alcuni errori, purtroppo abbastanza comuni, nell’interpretazione della teoria darwiniana.

Bisogna chiarire infatti che il termine “evoluzione” non è affatto sinonimo di “progresso”, come spesso viene utilizzato.

Darwin nell’Origine delle specie infatti non utilizzò mai tale termine ma parlò sempre di “discendenza con modificazione” (potete verificarlo voi stessi andando a leggere l’opera in questione!).

A questo punto sorge spontanea la domanda: ma se Darwin non ha mai utilizzato tale termine, com’è che la teoria ha finito per chiamarsi così?

Il termine “evoluzione” venne diffuso da Herbert Spencer nel suo libro Principles of Biology (1864). Il termine ottenne un grande successo ma risultò ambiguo: sembrava indicare che tutte le creature fossero disposte lungo una scala Naturae lineare che, partendo dagli organismi più semplici, porta a quelli più complessi.

A un primo esame questo potrebbe sembrare corretto, poiché possiamo constatare che da semplici organismi monocellulari sono derivate creature multicellulari molto complesse. Eppure pensate ai parassiti: sono perfettamente adattati al loro ambiente e possono avere cicli anche molto complessi che prevedono il passaggio da più ospiti ma per far questo hanno dovuto perdere molti organi di senso (a che servirebbe a una tenia o verme solitario, che vive dentro un intestino, avere gli occhi?).

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Il corallo della vita. Il primo albero evolutivo di Charles Darwin - Roba da pelle d'oca - Dal libro 'Darwin 1809 2009' di Niles Eldredge

La tenia è perfettamente “evoluta” in quanto si è bene adattata al suo ambiente.
Inoltre spesso si è tentati di volere vedere un fine, uno scopo, nell’evoluzione degli organismi (l’uomo). Ormai però la ricerca paleoantropologica ha messo bene in evidenza che in passato hanno convissuto nello stesso periodo più specie di ominidi (per le savane africane, si aggiravano un tempo pure Australopiteci e Parantropi e il genere Homo era rappresentato da più specie contemporaneamente). Homo sapiens, quindi, non si troverebbe al termine di una scala di progresso, ma sarebbe semplicemente l’ultimo ramoscello di un rigoglioso cespuglio evolutivo.

 

In Natura infatti, per quanto un organismo possa essere bene adattato, non è mai perfetto; esso si porta dietro molte strutture che sono dei vincoli storici, strutture che erano utili ai suoi antenati e che condizionano le direzioni in cui si può evolvere. Tali strutture talvolta possono essere cooptate verso nuove funzioni  (exaptation) come per esempio i polmoni sono diventati una vescica natatoria (per la storia completa rimando al saggio di S.J. Gould Piena d’aria calda dal volume ‘Otto piccoli porcellini’).

Ma allora, tornando alla nostra domanda iniziale, qual’è la risposta? Il motivo è che le scimmie attuali, come noi, sono il risultato di un lungo cammino, sono ben adattate al loro ambiente e hanno sviluppato ottime strategie per sopravvivere, anche se diverse da quelle di un gruppo di australopitecine che un giorno si alzarono in piedi e divennero bipedi.

 

Come si riconosce una selce lavorata?

Davide Bertè 27 novembre 2011

La selce è una roccia formatasi in seguito alla deposizione di silice proveniente da radiolari, diatomee o spugne. Poiché ha tessitura amorfa, ha frattura concoide e non si rompe lungo piani di resistenza preferenziali.
La selce e l’ossidiana (una roccia di origine vulcanica) sono state a lungo utilizzate dai nostri antenati per ottenere degli strumenti affilati come rasoi.

selce-lavorata-faccia-ventrale
I metodi principali per la lavorazione della selce sono due: il façonnage e il debitage. Il façonnage prevede di cominciare a lavorare un nodulo di selce per ottenere un oggetto unico di forma determinata e di scartare le schegge ottenute. Il debitage, invece, prevede la produzione di schegge o lame e il nucleo restante alla fine è il prodotto di scarto.
Il nucleo è un blocco di materia prima da cui sono state staccate schegge, lame o lamelle; la scheggia invece proviene da un distacco su un blocco di materia prima colpito da una pressione o sottoposto a pressione.
Ci sono varie tecniche per ottenere le schegge: percussione diretta (colpendo il blocco con un percussore, litico od organico, per es. di corno di cervo o di legno) o percussione indiretta (frapponendo un utensile intermediario, è una tecnica per ottenere lame che compare a partire dal Mesolitico).
Su una scheggia si possono distinguere: 1) una faccia ventrale (con bulbo, ondulazioni, lancette e scagliature); 2) un tallone (cioè parte del piano di percussione che si è staccato con la scheggia); 3) una faccia dorsale (sulla quale si possono riconoscere i negativi delle schegge staccate precedentemente oppure può essere presente il cortice).
Se troviamo una scheggia con tutte queste caratteristiche possiamo essere sicuri di trovarci di fronte a un manufatto. In questo caso segnalate il ritrovamento a un Museo o ad una Università, infatti ricordo che, in Italia,la raccolta di materiale archeologico è vietata dalla legge.

Leggi ‘Le età della pietra’ …di Davide Bertè

Testi consigliati:
il testo migliore che si trovi sull’argomento è:
Inizian M.L., Reduron M., Roche H., Tixier J. 1995 Technologie de la pierre taillée. CREP, Paris.
Oppure la versione inglese:
Inizian M.L., Reduron M., Roche H., Tixier J. 1999 Technology and terminology of knapped stone. CREP, Paris.

Come si riconosce una selce lavorata?

La selce è una roccia formatasi in seguito alla deposizione di silice proveniente da radiolari, diatomee o spugne. Poiché ha tessitura amorfa, ha frattura concoide e non si rompe lungo piani di resistenza preferenziali.
La selce e l'ossidiana (una roccia di origine vulcanica) sono state a lungo utilizzate dai nostri antenati per ottenere degli strumenti affilati come rasoi.
I metodi principali per la lavorazione della selce sono due: il façonnage e il debitage. Il façonnage prevede di cominciare a lavorare un nodulo di selce per ottenere un oggetto unico di forma determinata e di scartare le schegge ottenute. Il debitage, invece, prevede la produzione di schegge o lame e il nucleo restante alla fine è il prodotto di scarto.
Il nucleo è un blocco di materia prima da cui sono state staccate schegge, lame o lamelle; la scheggia invece proviene da un distacco su un blocco di materia prima colpito da una pressione o sottoposto a pressione.
Ci sono varie tecniche per ottenere le schegge: percussione diretta (colpendo il blocco con un percussore, litico od organico, per es. di corno di cervo o di legno) o percussione indiretta (frapponendo un utensile intermediario, è una tecnica per ottenere lame che compare a partire dal Mesolitico).
Su una scheggia si possono distinguere: 1) una faccia ventrale (con bulbo, ondulazioni, lancette e scagliature); 2) un tallone (cioè parte del piano di percussione che si è staccato con la scheggia); 3) una faccia dorsale (sulla quale si possono riconoscere i negativi delle schegge staccate precedentemente oppure può essere presente il cortice).
Se troviamo una scheggia con tutte queste caratteristiche possiamo essere sicuri di trovarci di fronte a un manufatto. In questo caso segnalate il ritrovamento a un Museo o ad una Università, infatti ricordo che, in Italia,la raccolta di materiale archeologico è vietata dalla legge.

Testi consigliati:
il testo migliore che si trovi sull'argomento è:
Inizian M.L., Reduron M., Roche H., Tixier J. 1995 Technologie de la pierre taillée. CREP, Paris.
Oppure la versione inglese:
Inizian M.L., Reduron M., Roche H., Tixier J. 1999 Technology and terminology of knapped stone. CREP, Paris.

Le età della pietra

Come in ambito paleontologico si classificano le forme viventi in base alla loro morfologia, così in archeologia, pur con le limitazioni del caso, si classificano i manufatti in base alla loro forma e li si pone entro determinati “tipi”. La tipologia litica è la scienza che permette di riconoscere, definire e classificare la diversa varietà di utensili che si rinvengono nei giacimenti (Bordes, 1961).
Il Paleolitico è diviso in: inferiore, medio e superiore.
Il Paleolitico inferiore comincia con i primi semplici strumenti (un tempo detti chopper) risalenti a 2.5 Ma fa e rinvenuti nel sito di Kada Gona in Etiopia. I ritrovamenti a Dmanisi (Georgia) dei resti del cosiddetto Homo georgicus (datato a circa 1.8 Ma fa) ci mostra che la prima uscita dall’Africa avvenne con strumenti olduvaiani. L’Acheuleano (che deve il nome ai ritrovamenti di Mortillet a Saint Acheul nel 1872) vede la bifacciali, hachereaux e bolas. Il sito più antico è Ubeidiya (Israele) datato a 1.4-1.2 Ma.
Nel Mesolitico le industrie litiche sono Sauveterriano e Castelnoviano nel sud e complesso di Beuron-Coincy e di Montbani nel nord.
Con il Neolitico la situazione si fa invece molto complessa,

Davide Bertè 27 novembre 2011

Come in ambito paleontologico si classificano le forme viventi in base alla loro morfologia, così in archeologia, pur con le limitazioni del caso, si classificano i manufatti in base alla loro forma e li si pone entro determinati “tipi”. La tipologia litica è la scienza che permette di riconoscere, definire e classificare la diversa varietà di utensili che si rinvengono nei giacimenti (Bordes, 1961).
Primo teorico di questo approccio fu lo studioso americano O. Montelius, che rilevó che la forma dei manufatti cambia (si evolve, nel nostro parallelo biologico) nel tempo e che quindi può essere utilizzata per datare sequenze stratigrafiche (come lo sono i fossili guida in paleontologia). Già nel 1819 Thomsen aveva proposto una suddivisione in tre etá: Età della pietra, Età del bronzo, Età del ferro. L’Età della pietra venne in seguito suddivisa da Lubbock (1865) in Età della pietra scheggiata o Paleolitico e Età della pietra levigata o Neolitico. Attualmente le suddivisione dell’Età della pietra sono: Paleolitico, Mesolitico e Neolitico.
Bisogna precisare, quindi, che le diverse età cominciano in periodi differenti nelle diverse aree geografiche (a seconda di quando è stata adottata una tecnologia) e che le industrie litiche non sono legate a una particolare specie (ad es. un reperto musteriano potrebbe essere stato prodotto tanto da un uomo di Neandertal che da un Homo sapiens).
Nel Paleolitico abbiamo le seguenti industrie litiche: Olduvaiano; Acheuleano; Musteriano, Castelperroniano e Uluzziano; Protoaurignaziano; Aurignaziano classico; Aurignaziano tardo; Gravettiano antico; Gravettiano evoluto; Solutreano; Maddaleniano; Aziliano. Nei lavori più recenti è in uso una nuova terminologia, che cerca di mettere in evidenza il fatto che le industrie non sono in relazione con le specie che le hanno prodotte: modo 0 in luogo di preolduvaiano; modo 1 invece di Olduvaiano, modo 2 al posto di Acheuleano; modo 3 invece di Musteriano.
Il Paleolitico è diviso in: inferiore, medio e superiore.
Il Paleolitico inferiore comincia con i primi semplici strumenti (un tempo detti chopper) risalenti a 2.5 Ma fa e rinvenuti nel sito di Kada Gona in Etiopia. I ritrovamenti a Dmanisi (Georgia) dei resti del cosiddetto Homo georgicus (datato a circa 1.8 Ma fa) ci mostra che la prima uscita dall’Africa avvenne con strumenti olduvaiani. L’Acheuleano (che deve il nome ai ritrovamenti di Mortillet a Saint Acheul nel 1872) vede la bifacciali, hachereaux e bolas. Il sito più antico è Ubeidiya (Israele) datato a 1.4-1.2 Ma.
Il Paleolitico medio comincia circa 300 ka fa con il Musteriano (dal sito di le Mustier in Dordogna). Tipico di questa industria è la diffusione dello sfruttamento del nucleo secondo il metodo levallois che permette un migliore sfruttamento della materia prima e la creazione di schegge fortemente predeterminate.
Il Paleolitico superiore vede una maggiore differenziazione dei supporti e della morfologia e dimensione degli strumenti. Compaiono in questo periodo lame e lamelle (schegge con un lato che superi l’altro in lunghezza del doppio).
Nel Mesolitico le industrie litiche sono Sauveterriano e Castelnoviano nel sud e complesso di Beuron-Coincy e di Montbani nel nord. Durante il Mesolitico si afferma inoltre il cosiddetto microlitismo: schegge di selce molto piccole dette armature che venivano montate in serie su supporti di legno e fissati con resine.
Con il Neolitico la situazione si fa invece molto complessa, con una pletora di complessi che si sviluppano rapidamente e si differenziano localmente. Famose sono le asce di pietra levigata, che avevano spesso anche funzione simbolico-rituale. Durante questo periodo si ha la diffusione dell’agricoltura, la domesticazione degli animali e i primi oggetti di terracotta. Per una trattazione di questo periodo vi rimando a testi specialistici.

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