Daniele Tona – 5 giugno 2017
Leggi solamente sul sito originale www.scienzafacile.it
Torniamo finalmente in attività qui su Scienza Facile, con un post in cui parliamo della mostra ospitata fino al 9 luglio 2017 al Museo delle Culture di Milano di via Tortona 56, dedicata a una selezione di alcuni fra i tanti dinosauri provenienti dall’Argentina.
Questa nazione sudamericana è infatti un territorio molto vasto e variegato dal punto di vista fossilifero, il che ha reso possibile il ritrovamento di resti di dinosauri provenienti da tutto il Mesozoico, a cominciare dai membri più basali dai quali ha avuto origine l’intera stirpe fino a coloro che assistettero loro malgrado al tramonto dell’era Mesozoica, più una buona rappresentanza di quello che sta nel mezzo.
La mostra si articola su varie sale dove sono esposti numerosi esempi del record fossile dei dinosauri argentini; si tratta per lo più di calchi con anche qualche esemplare originale, allestiti sia come scheletri montati in posizione di vita, sia come riproduzioni del fossile originale così com’è stato trovato, sia come ricostruzioni a grandezza naturale dell’aspetto dell’animale in vita.
L’allestimento è organizzato grossomodo in ordine cronologico, perciò tra i primi esemplari in cui si imbattono i visitatori figurano alcuni tra i dinosauri più antichi conosciuti. A dominare la prima sala sono senza dubbio gli scheletri, affiancati dalle rispettive ricostruzioni, dei primi esempi di dinosauri carnivori di grandi dimensioni: Herrerasaurus, lungo un paio di metri, è già un animale di una certa presenza, ma Frenguellisaurus (invero considerato da alcuni autori una specie più recente e più grossa di Herrerasaurus) gli ruba senz’altro la scena con una lunghezza che si avvicina ai 6 metri. Hanno entrambi l’aspetto classico da dinosauro carnivoro, ma mostrano ancora alcuni caratteri ancestrali che li pongono alla base dell’albero filogenetico dei dinosauri, come mani e piedi ancora muniti di cinque dita funzionali a differenza delle forme più derivate che tendono ad averne un numero inferiore sia nella mano che nel piede. Accanto a loro, un po’ in disparte e indubbiamente messo in ombra dai suoi compagni di sala, c’è Eoraptor, un tempo considerato il dinosauro più basale ma oggi ritenuto un po’ più derivato e affine ai sauropodomorfi; la ricostruzione, delle dimensioni di un cagnolino, impallidisce dinanzi a quelle dei suoi probabili predatori, e dà una chiara idea della dura vita che questo piccolo dinosauro doveva passare per sfuggire ai suoi più grandi e di certo famelici cugini.
A proposito di sauropodomorfi, la seconda sala della mostra dà spazio proprio ad alcuni esponenti del gruppo, in particolare alcune forme del Giurassico Inferiore che rappresentano gli ultimi membri di quelli un tempo noti come prosauropodi e oggi ritenuti invece una serie di gruppi intermedi verso i sauropodi in senso stretto; gli esemplari esposti appartengono ai generi di recente descrizione Adeopapposaurus e Leonerasaurus, ma attenzione alla smisurata coda che emerge dalla parete: altro non è che un assaggio di cose a venire…
Accanto ai sauropodomorfi si erge uno scheletro di Piatnizkysaurus, un teropode di media taglia che col suo apparato di zanne, artigli e un nome impronunciabile ai più vagava per le terre dell’Argentina giurassica. Con “appena” 6 metri di lunghezza e un paio scarso di altezza, però, non è nulla in confronto al colosso che torreggia minaccioso nella sala successiva: il possente Giganotosaurus che con i suoi 12 metri di lunghezza (di cui 2 solo di testa) apre la sezione della mostra dedicata al Cretaceo. Questo poderoso predatore è uno dei contendenti al titolo di dinosauro carnivoro più grande di sempre, ma rispetto a T. rex ha una testa più stretta e meno massiccia e i suoi denti sono più simili a coltelli per tagliare che a punteruoli per lacerare e triturare; è comunque una bestia immensa che dopo milioni di anni incute ancora timore reverenziale in chiunque si trovi al suo cospetto.
Non c’è da stupirsi che le prede di Giganotosaurus avessero dovuto diventare così grandi per uscire dal suo menu, e la sala successiva offre un piccolo assaggio di quanto potessero crescere; si tratta del femore, questa volta autentico, di Argyrosaurus che campeggia nella teca al centro della sala e supera abbondantemente i 2 metri di lunghezza. Il grande paradosso di questo animale, e di altri sauropodi giganti a lui affini, è che sebbene si stimi che fosse lungo una ventina di metri le sue uova non dovevano essere tanto diverse da quelle grandi come un melone esposte nella teca accanto al femore, provenienti dal sito di Auca Mahuevo dove insieme a centinaia di altre uova furono deposte da animali non troppo diversi da Argyrosaurus.
L’ultima sala chiude la mostra con il vero coup de théâtre. Ricordate la coda che sovrastava i dinosauri nella sala del Giurassico? Bene, la mostra si conclude con il resto del corpo del suo proprietario, uno scheletro di Argentinosaurus lungo oltre 30 metri il cui dorso si innalza ben oltre i 7 metri fin quasi a sfiorare il soffitto di una sala già di per sé assai spaziosa. E come se non bastasse uno scheletro intero per lasciare senza fiato con le sue dimensioni smisurate, per dare un’idea ancor più precisa della sua mole è stata collocata a livello del pavimento una singola vertebra cervicale che dalla sua base alla sommità della spina neurale è alta come un uomo adulto.
Argentinosaurus non è noto in ogni sua parte, per cui il ciclopico scheletro deriva dall’integrazione del materiale osseo conosciuto con elementi ripresi da sauropodi affini; in ogni caso è un animale immenso, più che degno dell’appellativo di titanosauro, la cui reale stazza in confronto a un essere umano può essere apprezzata solo ammirandolo di persona. Io stesso, che pure avevo già visto foto o programmi televisivi che lo ritraevano vicino a una persona, sono rimasto a bocca aperta di fronte al suo scheletro e alla consapevolezza che milioni di anni fa intere popolazioni di questo animale vagavano sul nostro pianeta. E’ qualcosa che fa realmente capire quanto noi umani siamo piccoli al cospetto di questi grandiosi animali.
In ogni modo, Argentinosaurus non è solo nella sala: ai piedi del titano sono infatti esposti due assai più piccoli ma non meno interessanti scheletri di teropodi del gruppo dei dromeosauri. Il primo è Unenlagia, un esponente abbastanza “convenzionale” del gruppo grande come un lupo e munito del caratteristico artiglio a falcetto sul secondo dito del piede. Austroraptor è invece un animale abbastanza atipico per gli standard dromeosauriani, a livello tanto della taglia (con 6 metri di lunghezza è uno dei più grandi della famiglia) quanto soprattutto nell’aspetto: il suo muso è lungo e stretto, le zampe sono nettamente più corte della norma per il gruppo e anche il famoso artiglio è decisamente sotto misura. Si pensa che queste modifiche dal piano corporeo di partenza derivino dal fatto che avesse preso il ruolo rivestito fino a qualche milione di anni prima dagli spinosauridi sudamericani, acquisendo quindi dei caratteri simili per assumere il loro posto di dinosauri predatori di pesci.
Ed è con gli esemplari esposti in quest’ultima sala (e in particolare con la testa dell’argentinosauro che sbuca dal muro fin dentro il gift shop) che si conclude una mostra a mio parere molto interessante soprattutto perché propone al pubblico dinosauri dalle caratteristiche peculiari, dalla grande importanza per la comprensione delle origini del gruppo oppure descritti solo di recente e quindi una novità anche per chi ha già avuto modo di visitare altre mostre sullo stesso tema (per dare un’idea, una decina di anni fa mi recai a un’altra esposizione sui dinosauri argentini a Torino dove non c’era metà dei dinosauri esposti nella mostra attualmente in corso, perché dovevano ancora essere scoperti!).
Devo tuttavia esprimere anche qualche riserva su certuni aspetti di questa mostra, che sebbene sia stata allestita come si deve e i contenuti scientifici siano decisamente accurati denota qualche errore, in particolare riguardo alla posizione delle zampe anteriori dei teropodi. E’ infatti ormai universalmente riconosciuto dai paleontologi che i teropodi non erano di grado di ruotare il polso, e quindi i palmi delle loro mani non potevano essere rivolti verso il basso ma sempre e solo verso l’interno (provateci anche voi: lasciate ricadere le braccia e vedrete che la posizione neutrale delle vostre mani volge i palmi verso il vostro corpo). Ahimè, la maggior parte degli scheletri di teropodi esposti aveva le mani nella posizione errata, un dettaglio che i non addetti ai lavori potrebbero non aver colto ma che guasta un po’ l’esperienza a chi ha un po’ più di conoscenza dell’argomento; diciamo che non la rovina, ma neanche passa inosservata.
In ogni caso, il mio personale parere sulla mostra è più che positivo. Si tratta, una volta tanto, di un’esposizione pensata per tutti, dal bambino appassionato di dinosauri con famiglia al seguito fino al paleontologo laureato, magari non perfetta in ogni dettaglio ma con parecchi contenuti e un allestimento capace di lasciare a bocca aperta anche chi pensa di aver già visto tutto dei dinosauri. Merita una visita molto più di altre mostre che piazzano degli orrendi pupazzoni contando sul pregiudizio che la gente è ignorante e non si accorgerebbe dei lampanti errori nelle ricostruzioni; non voglio dilungarmi oltremodo sull’etica dell’allestimento delle mostre divulgative, ma mi limito a dire che proprio perché molti visitatori sono digiuni di un argomento bisognerebbe raccontare loro le cose come stanno e non come le vogliono gli espertoni di marketing.
In conclusione, andate a vederla. C’è ancora un mese di tempo, e se volete restare ancora una volta meravigliati dai maestosi animali che rispondono al nome di dinosauri merita di impegnare un paio d’ore della vostra giornata.
Ah, già che siete al Museo delle Culture fate un salto alla mostra gratuita “Rex and the city” nella collezione permanente. Raccoglie molti esempi degli innumerevoli modi con cui i dinosauri sono stati rappresentati dalla cultura popolare e non. Si comincia con le raffigurazioni di draghi e creature mitologiche scaturite dal ritrovamento di ossa a cui gli uomini dell’epoca non sapevano dare un’identità e si arriva fino alle moderne rappresentazioni dei dinosauri viste attraverso l’occhio del cinema, del fumetto e della letteratura. Nel mezzo vi sono autentiche gemme come le copie dei lavori di Buckland e Mantell in cui vengono descritti Megalosaurus e Iguanodon, pezzi di storia della paleontologia dai quali è iniziata la grande avventura che ancora oggi continua con sempre nuove e stupefacenti scoperte.