Daniele Tona – Ottobre 2015
Poco più di un anno fa la rivista Science ha pubblicato un lavoro (Ibrahim et al. 2014) che ha gettato nuova luce sull’anatomia di uno dei dinosauri più famosi e spettacolari: Spinosaurusaegyptiacus. Anche noi di Scienza Facile ne parlammo in questo articolo dopo aver presenziato alla conferenza stampa in cui Cristiano Dal Sasso ha presentato la nuova immagine di questo animale tanto immenso quanto misterioso. Lo studio è stato possibile grazie alla National Geographic Society, che oltre a finanziare la ricerca ha anche dato vita ad un vasto apparato multimediale per mostrare al mondo le nuove scoperte effettuate sullo spinosauro: insieme a un documentario per la televisione (andato in onda anche in Italia), la Society ha allestito una mostra al National Geographic Museum di Washington, D.C. dal titolo “Spinosaurus: Lost Giant of the Cretaceous”, visitabile dal 12 settembre 2014 al 12 aprile 2015. In seguito, anche grazie alla concomitanza con l’Expo, la mostra si è spostata a Milano, dove fino al 10 gennaio 2016 è possibile non solo ammirare lo spinosauro, ma anche saperne di più sulle ricerche che hanno riguardato questo animale sempre più incredibile.
Ed è proprio della mostra attualmente in esposizione a Milano che vogliamo parlare. La sede prescelta per ospitarla è Palazzo Dugnani, un edificio storico situato nei giardini Indro Montanelli, gli stessi in cui sorge l’attuale sede del Museo Civico di Storia Naturale. Edificato nel XVII secolo, fu dimora dapprima della famiglia Cavalchini e poi della famiglia Casati, che nel 1753 la rivendette ai Dugnani. Nel 1835, con la morte dell’ultima erede diretta, la proprietà venne ereditata dal conte Giovanni Vimercati, che nel 1837 vi installò una collezione naturalistica denominandola “Museo di Storia Naturale”. Nel 1846 Vimercati vendette il palazzo con annessa collezione al Comune di Milano, che ne fece la prima sede del Museo Civico di Storia Naturale.
La mostra consente in particolare di ammirare alcune delle decorazioni che hanno reso Palazzo Dugnani tra i più sfarzosi della Milano barocca: sul soffitto di quello che era il “salone da ballo” si trova infatti un dipinto del Tiepolo (1731-32) con figure mitologiche e rappresentazioni delle vicende di Scipione e Massinissa, a sottintendere la celebrazione della famiglia Casati che lo commissionò.
Ma veniamo alla mostra vera e propria. Ancor prima di entrare a Palazzo Dugnani si viene accolti da una riproduzione a grandezza naturale della star, uno spinosauro lungo quindici metri appostato sul prato antistante l’edificio con un grosso celacanto pronto per essere divorato. Piccolo aneddoto personale: il modello è lo stesso che vidi nel 2011 alla mostra “Dinosauri in carne e ossa” allestita a Piacenza, dove rimasi colpito da come si discostava dall’immagine tradizionale dello spinosauro, specialmente nella forma della vela dorsale e nelle proporzioni delle zampe posteriori. Vista l’elevata qualità di quella mostra e col senno del poi dato dalla lettura di Ibrahim et al. 2014, è chiaro come quel modello fosse una sorta di anteprima delle scoperte divulgate con la pubblicazione del lavoro su Science. In ogni caso, è una riproduzione davvero impressionante, che vista dal vivo e con la scala offerta dalle persone che si fermano ad ammirarla e fotografarla rende bene l’idea di quanto imponente fosse in vita questo animale.
L’allestimento all’interno di Palazzo Dugnani si articola su un percorso che può essere grossomodo diviso in due parti. La prima è la storia dello studio dello spinosauro, a cominciare dalla scoperta dei primi resti nel 1912 nell’oasi egiziana di Baharîa da parte di Ernst Stromer, che in seguito battezzò e descrisse Spinosaurus aegyptiacus nella storica pubblicazione del 1915. Sono esposti alcuni cimeli significativi appartenuti all’eminente paleontologo tedesco, oltre alla riproduzione delle ossa dell’olotipo da lui rinvenuto consistenti in una mandibola con vari denti e in numerose vertebre dorsali con la caratteristica spina neurale allungata. Ricordiamo che i reperti originali sono andati distrutti durante il bombardamento alleato su Monaco di Baviera nel corso della Seconda Guerra Mondiale, per cui le ossa esposte sono riproduzioni tridimensionali basate sulle illustrazioni realizzate da Stromer per la monografia.
La storia delle scoperte prosegue con i ritrovamenti effettuati dal Museo di Storia Naturale di Milano, in particolare la porzione di muso recuperata nel 2005. L’esemplare esposto – stavolta autentico, visto che proviene dalla collezione del museo dove è parte integrante dell’esposizione – si affianca ad altri fossili che rappresentano i principali siti in cui il museo ha compiuto scavi, tra cui il Monte San Giorgio già più volte menzionato su queste pagine (in particolare il museo ha lavorato sul lato italiano, dal quale provengono esemplari di grande importanza come l’ittiosauro Besanosaurus).
I calchi di vari elementi scheletrici rinvenuti nel corso degli anni introducono l’ultimo capitolo della storia, il più recente e quello che ha permesso alla mostra stessa di esistere. Tutto è iniziato nel 2009 quando Cristiano Dal Sasso e Simone Maganuco ricevettero le foto di alcuni resti acquisiti l’anno precedente in un mercato marocchino con la richiesta di valutare se le ossa in questione fossero reperti degni d’interesse. Le immagini colpirono subito i due paleontologi per il fatto che immortalavano vertebre del tutto simili a quelle raffigurate nei vecchi disegni di Stromer; Dal Sasso e Maganuco contattarono così il paleontologo tedesco-marocchino Nizar Ibrahim che era a conoscenza di ossa molto simili acquistate dall’Università di Casablanca dagli abitanti di un villaggio a nord di Erfoud, in Marocco. Notando come forma, colore e dimensioni fossero i medesimi gli studiosi compresero che le ossa appartenevano allo stesso esemplare. Nel 2013 Ibrahim rintracciò il sito fossilifero (la leggenda vuole che ritrovò l’uomo che aveva scoperto ed estratto le ossa solo per un caso fortuito l’ultimo giorno di una lunga e infruttuosa ricerca) e organizzò una spedizione per raccogliere le ossa rimaste assemblando un gruppo di ricerca internazionale. Tra gli altri fu coinvolto Paul Sereno, poiché il materiale di confronto più adatto erano i resti di un parente dello spinosauro da lui studiato (Suchomimus) che si trovava all’Università di Chicago; Sereno è anche “Explorer-in-residence” della National Geographic Society, sicché giunse anche il supporto economico di un grande e prestigioso sponsor che permise di varare il progetto di ricerca.
Dopo una prima parte più “storiografica” se vogliamo, la seconda parte della mostra assume un carattere più paleontologico. Presenta infatti lo spinosauro e i suoi coinquilini, ossia gli animali che condividevano con lui la zona dell’odierno Sahara durante l’intervallo di tempo del Cretaceo Superiore chiamato Cenomaniano, circa 95 milioni di anni fa. Al posto dell’arido e inospitale deserto che oggi ricopre gran parte dell’Africa settentrionale all’epoca si trovava una vasta regione umida, attraversata da una rete di fiumi che consentivano la crescita di una vegetazione rigogliosa ai margini dei corsi d’acqua e degli acquitrini che caratterizzavano il territorio.
Un ambiente del genere era l’ideale per una variegata fauna acquatica o semiacquatica, e infatti sono numerosi i resti di coccodrilli, tartarughe e pesci, ed evidentemente c’era posto anche per un gigante come lo spinosauro. Accanto ad essi vivevano animali prettamente terrestri, tra cui svariati dinosauri carnivori; curiosamente sono scarsi gli erbivori, anche se è possibile che ciò sia dovuto solo al fatto che non sono ancora stati trovati o che, con tutti quei predatori in giro, i loro resti non durassero abbastanza a lungo da poter essere sepolti e potenzialmente fossilizzarsi. Non mancavano poi gli pterosauri volanti, tra cui alcune forme di taglia considerevole.
Questa ricchezza di faune è ben rappresentata dal materiale della mostra, che presenta calchi dei crani di alcuni degli abitanti di quelle paludi preistoriche: si tratta dei dinosauri teropodi Rugops e Carcharodontosaurus e dei coccodrilli Laganosuchus e Elosuchus. I crani sono accompagnati da modelli a grandezza naturale di come probabilmente apparivano in vita le teste di quegli animali, e in alcuni casi (come il carcarodontosauro, la cui testa supera ampiamente il metro di lunghezza) rendono bene l’idea di quanto fossero grandi quelle creature e di quanto sarebbe stato terrificante trovarseli davanti, magari a stomaco vuoto.
Altri animali sono rappresentati da riproduzioni dell’intero corpo: è il caso dello scheletro completo di Deltadromeus, un teropode la cui ricostruzione è però molto speculativa per via dell’incompletezza dei suoi resti; lo scheletro in questione è basato su altri dinosauri con cui è imparentato, e va detto che pur essendo un esemplare giovanile è comunque un animale di sei e più metri di lunghezza. A completare il bestiario da incubo c’è il modello a grandezza naturale di Mawsonia, un celacanto che era tra le portate principali del menu dello spinosauro. Il suo aspetto è del tutto simile all’odierno Latimeria, ma è molto, molto più grande: più di quattro metri, come uno squalo di grossa taglia.
Immagine da http://www.spinosaurus.eu/gallery.php
A chiusura del percorso espositivo troviamo infine il vero pezzo forte della mostra, la star dell’evento: uno scheletro a grandezza naturale di Spinosaurus aegyptiacus, un colosso di quindici metri di lunghezza rappresentato nell’atto di nuotare in un fiume del Nordafrica del Cretaceo. Certo, si tratta di un calco e non di veri fossili (ribadiamo che la ricostruzione si basa sull’assemblaggio di reperti provenienti da differenti esemplari e integrati con parti di dinosauri affini), ma trovarsi faccia a faccia con un animale di quella taglia – in modo letterale: il cranio è ad altezza uomo e la punta del muso arriva a pochi centimetri dai visitatori anche se c’è un cordone a delimitare il passaggio – è un’esperienza impressionante che nemmeno la ricostruzione all’esterno dell’edifico riesce a offrire appieno, dato che è posta in mezzo a un’aiuola e quindi in teoria non è avvicinabile. Per quanto speculativo lo scheletro rende davvero bene l’idea di un animale che non ha equivalenti per aspetto e anatomia in alcun animale vivente al giorno d’oggi. Non stupisce che i popoli dell’antichità scambiassero le ossa dei dinosauri per quelle di bestie mitologiche, perché non c’è nulla oggi che si avvicini alle dimensioni e alle fattezze bizzarre che alcuni di essi possedevano.
A far compagnia allo spinosauro si trovano altri modelli, sempre a grandezza naturale: il pesce sega Onchopristis, considerato una delle prede principali dello spinosauro, e gli pterosauri Alanqa (sospeso in alto, ma del quale si può apprezzare bene l’apertura alare di quattro metri) e Tapejara, la cui testa serve a rappresentare il possibile aspetto di uno dei rettili volanti della sua stessa famiglia vissuto nei cieli dell’epoca.
Dopo il pezzo da novanta la mostra però non si conclude, e anzi prosegue nella sala affrescata dal Tiepolo dove si trova la sala conferenze. Al momento della mia visita non erano previsti incontri, benché nel corso delle settimane di allestimento ne siano stati organizzati diversi, in compenso era in proiezione un filmato in cui il paleontologo Jack Horner (di cui abbiamo già parlato su Scienza Facile qui) espone la sua teoria sulla possibilità di riattivare caratteri dei dinosauri negli embrioni di uccello.
La mostra giunge infine al termine con l’esposizione di uno dei macchinari per la stampa in 3D che hanno permesso la realizzazione di alcuni modelli della mostra. Si tratta di una tecnologia senza dubbio rivoluzionaria, che anche in paleontologia sta conoscendo molte applicazioni nella realizzazione di calchi per lo studio e gli allestimenti museali in modo rapido, economico e di qualità notevole.
In conclusione non posso che consigliare caldamente a tutti gli appassionati di paleontologia di fare un salto a questa interessantissima mostra. Nella mia breve disamina non ho menzionato il vasto apparato di pannelli, diagrammi e schede che illustrano nel dettaglio tutto ciò che viene esposto, ma posso assicurare che il rigore scientifico con cui è stata realizzata è solido e traspare chiaramente. Di certo aiuta il fatto che i curatori della mostra siano proprio quei Cristiano Dal Sasso e Simone Maganuco che figurano tra i coautori dello studio che ha rivoluzionato la visione di un animale ormai entrato nella cultura popolare.
Al di là dell’argomento trattato, questa mostra è un esempio che molti dovrebbero seguire su come vada allestita una mostra a scopo divulgativo. Molte volte, purtroppo, si mettono su baracconi spettacolari pieni di luci, suoni, robottoni animati e chi più ne ha più ne metta, infischiandosene altamente dell’attendibilità delle ricostruzioni o delle informazioni rifilate al pubblico puntando solo a un guadagno facile. E’ quasi come se dicessero “che ci importa della scienza, tanto la gente non sa niente di queste cose, se anche diciamo stupidaggini chi vuoi che se accorga?” Ebbene, la mostra di Palazzo Dugnani dimostra che si può attirare e affascinare il pubblico anche senza tanti effetti speciali. Qui è la scienza stessa a dare spettacolo, perché mostra come un attento lavoro di ricerca può riportare in vita il passato remoto del nostro pianeta meglio di qualsiasi animatronic o proiezione in 3D, semplicemente mostrando al pubblico i fatti concreti che gli studiosi ricavano dai fossili.
Se volete visitare la mostra avete tempo fino al 10 gennaio 2016. Sul sito http://www.spinosaurus.eu/index.php si trovano tutte le informazioni per raggiungere questa eccellente mostra.
Bibliografia:
-
Stromer, E., Wirbeltier-Reste der baharije-Stufe (unterstes Cenoman).3 Das Original des Theropoden Spinosaurus aegyptiacus nov. gen. et nov. spec in Abhandlungen der Königlich Bayerischen Akademie der Wissenschaften Mathematisch-physikalische Klasse Abhandlung, vol. 28, 1915, pp. 1-32.
-
Ibrahim N., Sereno P.C., Dal Sasso C., Maganuco S., Fabbri M., Martill D.M., Zouhri S., Myhrvold N., Iurino D. (2014) Semiacquatic adaptations in a giant predatory dinosaur. Science. DOI: 10.1126/science.1258750