Andrea Tessarollo – 9 maggio 2014
Disegni di Andrea Tessarollo.
No, non parliamo di tenerezze geologiche, ma dei luoghi della crosta terrestre dove si ha l’accumulo e la conservazione dei sedimenti. Ok, scusate la battuta cretina e torniamo a noi…
Ogni volta che guardiamo una successione sedimentaria (una qualsiasi serie di strati sovrapposti), guardiamo in realtà una piccola parte di quello che è (o meglio, che era) il riempimento di un bacino sedimentario. In linea di massima infatti quasi tutte le “rocce sedimentarie” si sono deposte in un bacino sedimentario come sedimenti (in senso generale), prima di essere sepolti sotto sedimenti successivi, essere portati progressivamente in profondità, essere litificati (cioè trasformati in roccia) e poi riportati in superficie, dove noi ora possiamo vederli senza troppo sforzo.
Ma quindi, cos’è di preciso un bacino sedimentario? Una buona definizione di bacino sedimentario è “un luogo della crosta terrestre dove l’accumulo (e la conservazione) di materiale è maggiore rispetto alle aree adiacenti”. Semplicisticamente, immaginatelo quindi come se fosse una depressione riempita da sedimenti.
Perché dei sedimenti dovrebbero accumularsi maggiormente in un posto rispetto ad un altro? Ovvero, che cosa determina lo sviluppo di un bacino sedimentario?
Per arrivarci, iniziamo dal caso più semplice, ovvero che esista già una depressione topografica: immaginiamo quindi un lago, circondato da rilievi montuosi. In questo semplice caso il “livello di base” locale determina il limite tra ciò che viene eroso e ciò che viene deposto e quindi potenzialmente conservato.
Bisogna però chiarire cos’è il “livello di base”: è la superficie che divide le zone in cui domina l’erosione da quelle in cui domina la deposizione. Il livello del mare è il livello di base globale: ciò che sta sopra viene eroso, trasportato e depositato in mare, dove viene variamente ridistribuito ma comunque conservato. In ambito continentale e precisamente nel nostro esempio, la superficie del lago rappresenta il livello di base locale, relativo a quell’area: quello che sta sopra viene eroso mentre quello che finisce nel lago si conserva. Questo finché il livello del lago rimane costante: se il livello del lago si abbassa, aree che prima erano subacquee e quindi conservative si ritroveranno sopra il livello di base; inizieranno quindi ad essere erose e portate al di sotto del nuovo livello di base. Se il livello del lago si alza, allora le aree che prima erano in erosione diventeranno anch’esse aree di deposizione. Analogamente le variazioni eustatiche (del livello del mare) determinano quindi nelle zone costiere l’oscillazione del livello di base e la deposizione e l’erosione dei sedimenti costieri.
Quindi dalle aree emerse accumuliamo nella depressione (il nostro lago) una successione di sedimenti, che andranno progressivamente a riempirla e costituire nel tempo una successione fossile, ovvero il riempimento del nostro bacino sedimentario.
Beh, se fosse tutto qui, dovremmo concludere che si conservano solo le rocce di ambienti subacquei. Invece questo non è vero, perché nelle successioni fossili troviamo anche sedimenti di ambienti che possono essere subaerei (per esempio una piana fluviale adiacente un lago). Questo è possibile per il fatto che i limiti dei bacini sedimentari si estendono oltre i confini di quelli che consideriamo dei bacini topografici (il lago per esempio). E questo perché esiste un altro fattore, ben più importante nello sviluppo dei bacini sedimentari: la subsidenza.
La subsidenza è il motore di tutti i bacini sedimentari: in parole povere la superficie topografica si abbassa, sprofonda, rispetto alle zone circostanti, fornendo continuamente nuovo spazio per l’accumulo di sedimenti in quel punto. Questo processo può essere innescato da vari fattori, tra i quali l’azione di faglie (tettonica) che ribassano un’area rispetto ad un’altra (vedi figura) o il carico stesso dei sedimenti e la loro compattazione. Il principale ad ogni modo è la tettonica e la “tettonica a placche” è proprio il motore che genera, alimenta e poi decreta la fine dei bacini sedimentari: i movimenti delle placche infatti, dalla divergenza alla convergenza, generano fratturazioni, assottigliamenti, ispessimenti o piegamenti della crosta terrestre che danno vita ad aree in sollevamento relativo (in genere le aree sorgente dei sedimenti), e aree in subsidenza/abbassamento relativo (ovvero le aree di deposizione). Per il legame che esiste tra tettonica a placche e bacini sedimentari, la loro classificazione in genere si basa proprio sulla posizione del bacino sedimentario nella placca e sul contesto geodinamico (convergente, divergente o trascorrente). Ad ogni modo sarebbe oltremodo complesso e lungo parlarne in dettaglio qui; quello che invece è importante considerare è che, essendo sviluppati sulle placche, i bacini sedimentari seguono l’evoluzione di queste nel ciclo di Wilson. Questo implica che i bacini sedimentari nascono, si spostano, vengono deformati e distrutti, ma parte dei loro sedimenti può conservarsi e finire coinvolta nello sviluppo di bacini successivi. Ed è proprio quello che succede. E proprio per questo è possibile ricostruire la storia e l’evoluzione sia dei bacini sedimentari che delle placche: le successioni rocciose infatti registrano informazioni non soltanto sul bacino sedimentario stesso ma anche su quello che ci sta attorno, essendo spesso la sorgente del materiale conservato.
Mi permetto di fare un esempio banale per essere sicuro che abbiate afferrato il concetto: il nostro bacino sedimentario è un tipo di torta, diciamo un tiramisù, in una vaschetta di alluminio. Se noi facciamo scorrere la placca (la tovaglia) fino al bordo del tavolo contro il muro (contesto collisionale): SPLAT! questa si accartoccerà e parte del tiramisù si spargerà sul tavolo (non ho fatto la prova ma con buona approssimazione dovrebbe accadere questo…). A questo punto non avremo più la torta e dire con precisione come era fatta la torta magari risulterà difficile perché il contenitore si è deformato e il tiramisù è uscito dalla vaschetta. Tuttavia da qualche parte sul tavolo avremo ancora con tutta probabilità delle porzioni conservate: magari un pezzo con ancora gli strati di savoiardi inzuppati di caffè, la panna e il cacao in polvere in superficie… insomma, la successione sedimentaria. Bene, se analizziamo questi pezzi, anche senza aver visto la torta sul tavolo, saremo in grado di sapere quali ingredienti erano sul tavolo prima di preparare la torta e saremo anche in grado di riconoscerli come appartenenti ad un tiramisù. Forte, eh? Lo stesso avviene in geologia.
Come esempio reale invece, vediamo le fasi evolutive più significative nella successione del sudalpino dell’area lombarda, in relazione al ciclo di wilson (vedi immagine in fondo al testo).
La sedimentazione in quest’area inizia nel tardo paleozoico (probabilmente tardo Carbonifero). La precedente Orogenesi Ercinica aveva prodotto una catena montuosa che era poi stata progressivamente consumata fino ad esporre in superficie le rocce della crosta profonda (rocce metamorfiche che costituiscono il cosiddetto “Basamento metamorfico Ercinico”).
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Su questo basamento cristallino la sedimentazione avvenne in una serie di bacini sedimentari poco estesi e fortemente subsidenti (2km di depositi in qualche milione d’anni nel Bacino Orobico), separati nettamente tramite faglie da aree di non deposizione (non subsidenti o in sollevamento). I depositi (Vulcanite di Auccia, Formazione di Collio, etc.) erano sia vulcanici primari (la zona era caratterizzata dalla presenza di vulcani a carattere esplosivo) che clastici continentali (depositi di conoidi alluvionali, piane fluviali, laghi poco profondi in clima semiarido). Questi bacini sono stati identificati come bacini transtensivi e messi in relazione con i movimenti trascorrenti che si verificarono tra Gondwana e Laurasia durante il Paleozoico superiore. Questi bacini ebbero una durata piuttosto breve, e la loro crescita si fermò una volta fermatasi la trascorrenza tra le placche.
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La sedimentazione nell’area riprese più tardi nel Permiano superiore (con i depositi fluviali del Verrucano Lombardo) e poi nel Triassico, momento in cui l’area venne invasa dal mare per via del progressivo innalzamento eustatico. Iniziò così una lunga fase caratterizzata da condizioni marine: in queste calde acque del golfo della Tetide, si svilupparono estese piattaforme carbonatiche (Calcare di Esino e Dolomia Principale le principali formazioni, equivalenti degli attuali reef tropicali a coralli), solcate da lingue di mare profondo (qui è sufficiente citare la Formazione di Perledo-Varenna). Questo tipo di sedimentazione era ora distribuita su una superficie ben più ampia, caratterizzata da lenta subsidenza. Per tali caratteri questi depositi sono stati paragonati a quelli degli attuali bacini di “margine passivo” cioè sviluppati sui margini costieri di placche in allontanamento.
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Dalla fine del Triassico e durante il Giurassico si ebbe un nuovo cambio nel tipo di sedimentazione: le piattaforme carbonatiche lasciarono il posto a calcari pelagici, torbiditi calcaree e altri depositi pelagici (Calcare di Moltrasio, Rosso Ammonitico, Radiolariti, Maiolica, etc), inizialmente con spessori molto diversi a seconda della zona. Questi sedimenti testimoniano l’annegamento delle piattaforme carbonatiche (la profondità non era più compatibile con la vita degli organismi costruttori) e la loro sostituzione con ambienti di mare profondo. Questo fu dovuto alla ripresa dell’attività tettonica, con l’attivazione di faglie distensive e moderata subsidenza che nel giurassico inferiore produsse una topografia articolata con zone di bacino (a sedimentazione torbiditica) e di alto strutturale (con sedimenti condensati). Questo era il risultato del processo di rifting che più a W stava portando all’apertura dell’Oceano Ligure Piemontese. L’azione delle faglie poi si ferma nel Giurassico medio e la subsidenza diminuisce. Questo tipo di sedimentazione è in parte paragonabile a quella di un bacino oceanico, seppure qui fossimo su crosta continentale.
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Nel Cretaceo infine ha inizio la deposizione di torbiditi silicoclastiche provenienti da Nord (Sass de la Luna, i vari Flisch, etc) e torna ad aumentare la subsidenza dell’area, che si mantiene in condizioni di mare profondo. Questo testimonia l’inizio dell’orogenesi Alpina, con sviluppo di un bacino di avanfossa e inizio di impilamento delle scaglie tettoniche a Nord (le aree in sollevamento diventano sorgente di sedimenti per il bacino).
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Tralascio la storia successiva, ma fondamentalmente l’avanfossa si chiude e si riempie progressivamente, mentre l’impilamento delle falde e la crescita della catena Alpina prosegue.
Nonostante quindi l’orogenesi Alpina abbia distrutto i precedenti bacini sedimentari e deformato e impilato in vario modo scaglie dei loro sedimenti, lo studio dei geologi nel corso degli anni ha permesso comunque, attraverso l’analisi delle successioni rocciose e l’incrocio dei dati da differenti località, di identificare i vari bacini che si sono succeduti nel tempo e di ricostruire la storia geologica dell’area.
Ma il lavoro prosegue, c’è sempre qualcosa in più da scoprire.
Bibliografia:
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Autori vari (2002): Alpi e Prealpi lombarde – Guide geologiche regionali. BE-MA editrice;
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Berra Fabrizio (2010): Subsidence history from a backstripping analysis of the Permo-Mesozoic succession of the Central Southern Alps (Northern Italy). Basin Research, vol. 22;
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Gelati Romano (2013): Storia Geologica del paese Italia. Diabasis.