Daniele Tona – 10 gennaio 2011
Mi permetto di scrivere quattro righe di presentazione a questo che più che un articolo, è un’utilissima guida per entrare nel mondo degli Pterosauri ed uscirne soddisfatti e pieni di nuovi spunti. Chi erano, come erano fatti, cosa mangiavano, come volavano e come si muovevano a terra…
Daniele Tona ha colpito ancora ed ecco, tutto quello che volevate sapere su questi meravigliosi rettili volanti! (S.R.)
Durante l’era Mesozoica, prima che (come trattato in un precedente articolo) un gruppo di Dinosauri spiccasse il volo evolvendosi negli uccelli moderni, i cieli del pianeta erano popolati da eseri viventi tanto bizzarri quanto straordinarii: erano gli Pterosauri, il cui nome tradotto dal greco significa letteralmente “lucertole volanti”.
Prima degli Pterosauri, altri gruppi di rettili avevano già evoluto più volte e in modo indipendente strutture per il volo, ma esse erano semplici espansioni della cassa toracica che consentivano unicamente un volo planato di tipo passivo. Gli Pterosauri sono stati il primo dei tre gruppi di vertebrati noti (gli Pterosauri stessi, gli uccelli ed i mammiferi Chirotteri, ossia i pipistrelli) a modificare radicalmente il loro corpo onde sviluppare un volo attivo.
Fossili di Pterosauri sono noti fin dalla fine del Settecento, quando il naturalista Cosimo Collini descrisse dei resti rinvenuti nelle rocce calcaree di Solnhofen (le stesse da cui proviene Archaeopteryx) appartenuti a una forma di vita che identificò come un animale acquatico che usava le lunghe zampe anteriori come pinne. Fu solo ai primi dell’Ottocento che Georges Cuvier riconobbe la vera natura dell’animale, che fu così battezzato Pterodactylus (“dito alato”). Nel corso dei due secoli successivi sono state scoperte all’incirca un centinaio di specie di Pterosauri, straordinariamente diverse in termini di dimensioni, aspetto e nicchia ecologica. Per via del loro scheletro delicato i resti di Pterosauro si conservano raramente, e spesso sono frammentari; in taluni casi, però, i fossili si sono conservati eccezionalmente bene, ed è stato possibile determinare elementi come la copertura cutanea, il profilo delle ali o quello del corpo.
Ma quali sono questi adattamenti anatomici che hanno permesso agli Pterosauri di decollare per colonizzare i cieli del Mesozoico? Il primo, e più evidente, sono senz’altro gli arti anteriori trasformati in ali. La mano degli Pterosauri era infatti composta dalle prime tre dita (che in alcune delle forme più recenti, come Nyctosaurus, spariscono del tutto) e dal quarto dito, incredibilmente allungato per sostenere la membrana alare principale, chiamata brachiopatagio. All’altezza del polso era presente un osso esclusivo degli Pterosauri, lo pteroide, che sosteneva una seconda membrana più piccola detta propatagio ed estesa dal polso alla spalla; non si ancora da cosa derivi lo pteroide, che a seconda delle ipotesi è visto come un carpale modificato, il metacarpo del primo dito o un osso di neoformazione.
La peculiarità della membrana alare stava nella sua struttura interna: lungi dall’essere un semplice lembo di pelle come quello dei pipistrelli, era costituita da più strati sovrapposti di tessuto compresi fra gli strati di derma e irrorati da una fitta rete di vasi sanguigni. Questo tessuto interno era formato da fasci di fibre dette actinofibrille, la cui natura è ancora oggetto di discussione ma che dovevano servire al rinforzo della membrana alare. Gli strati di actinofibrille si disponevano in modo da formare un reticolo che rendeva più resistente l’ala.
Anche il resto del corpo si era modificato per consentire il volo attivo. Il tronco era corto, e le vertebre dorsali si erano fuse a formare due strutture, il notario anteriore ed il sinsacro posteriore, che fungevano da sostegno rispettivamente ai cinti pettorale e pelvico. Lo sterno si era inoltre espanso, formando un’ampia superficie di inserzione dei muscoli pettorali; curiosamente, negli Pterosauri lo sterno era largo ma presentava una carena relativamente bassa, al contrario degli uccelli dove la carena è molto pronunciata. Ai lati dello sterno, lo scapulocoracoide (formato, come dice il nome, dalla fusione di scapola e coracoide) forniva supporto ai muscoli che sollevavano l’ala.
Il cinto pelvico era piccolo ma robusto, strutturato per sopportare gli urti durante l’atterraggio. Le zampe posteriori erano relativamente lunghe, e ad esse si attaccavano l’estremità posteriore del brachiopatagio nonché una terza membrana tesa fra le gambe e la coda, denominata uropatagio.
Il cranio degli Pterosauri era spesso insolitamente grande rispetto al resto del corpo, e in molti casi era reso ancora più grande dalle elaborate creste e proiezioni ossee che caratterizzavano le varie specie; eppure si trattava di una struttura relativamente leggera, il cui peso era ridotto dalle ampie aperture poste davanti all’orbita, dette finestre anterorbitali; in alcuni Pterosauri tali aperture si univano alle narici a formare la finestra nasoanterorbitale.
Lo scheletro degli Pterosauri era ulteriormente alleggerito dalla struttura interna delle ossa. Queste, infatti, erano in gran parte cave, con una sottile parete esterna con numerosi pilastri ossei, le trabecole, che reggevano a mo’ di puntello la cavità interna. Questa struttura ossea, detta per l’appunto trabecolare, aveva non solo il vantaggio di ridurre la massa corporea senza alterarne il volume, ma creava anche lo spazio per sacche aeree analoghe a quelle che si osservano negli uccelli.
Alcuni ritrovamenti eccezionali hanno permesso inoltre di stabilire che gli Pterosauri non erano coperti da squame, bensì da sottili filamenti cutanei chiamati picnofibre, analoghi ma non omologhi ai peli dei mammiferi (in altre parole, svolgevano la stessa funzione ma avevano un’origine diversa). Questa sorta di pelliccia, particolarmente evidente nei fossili di Sordes e Jeholopterus, viene considerata un possibile indizio di un metabolismo elevato che necessitava di una copertura che trattenesse il calore corporeo.
Gli Pterosauri sono stati spesso definiti “Dinosauri volanti”. Nulla di più sbagliato: come già visto in precedenza, gli unici Dinosauri volanti sono gli uccelli. E’ però vero che esiste un stretta parentela fra Pterosauri e Dinosauri; entrambi appartengono a un gruppo denominato Ornithodira, comprendente da una parte gli Pterosauri, e dall’altra i Dinosauri e i loro parenti più prossimi, riuniti sotto il nome collettivo di Dinosauromorpha.
Il posizionamento sistematico preciso degli Pterosauri è stato complicato dal fatto che gli esemplari più antichi conosciuti presentano le caratteristiche tipiche del gruppo già pienamente sviluppate, rendendo molto difficile stabilire l’aspetto dei loro precursori. Questi Pterosauri, chiamati Preondactylus, Peteinosaurus e Eudimorphodon, sono datati a circa 215 milioni di anni fa, nel Norico (Triassico superiore), e sono stati rinvenuti in rocce affioranti in Italia: il primo nella Dolomia di Forni, e gli altri due nel Calcare di Zorzino. Di certo, la struttura di base degli Pterosauri che abbiamo descritto più sopra si è modificata in una miriade di modi durante la loro storia, conclusasi con la loro estinzione durante la grande crisi del limite Cretaceo-Paleogene, 65 milioni di anni fa.
Filogenesi
Scendendo più nel dettaglio della loro filogenesi, gli Pterosauri possono essere suddivisi in due grandi gruppi, che differiscono principalmente in base alle differenti proporzioni delle parti del corpo. I più basali, oltre che i più antichi, sono riuniti nei “Rhamphorynchoidea”, dove le virgolette stanno a significare che si tratta di un gruppo parafiletico, cioè comprendente solo alcuni dei discendenti dell’antenato comune di tutti gli Pterosauri. I “ranforincoidei” sono noti a partire dal Triassico (Preondactylus, Peteinosaurus e Eudimorphodon appartengono a questo gruppo) e si estinsero alla fine del Giurassico; in generale erano animali di piccola taglia, con ali larghe, colli corti, crani da corti a relativamente lunghi, poco atti a muoversi sul terreno e, con la sola eccezione di Anurognathus, dotati di una lunga coda, in alcuni casi con un lembo di pelle romboidale all’estremità, forse come timone direzionale. Alcuni esempi di “ranforincoidei” sono Dimorphodon, Rhamphorhynchus e Scaphognathus.
Gli Pterosauri più derivati appartengono invece al gruppo monofiletico (ossia derivante da un unico antenato comune) degli Pterodactyloidea. Gli pterodattiloidei comparvero nel Giurassico e si estinsero, insieme con i Dinosauri e molti altri organismi, alla fine del Cretaceo. A differenza dei “ranforincoidei”, coprivano una vasta gamma di taglie (dal metro scarso di apertura alare di Pterodactylus ai 10-12 metri di Quetzalcoatlus e Hatzegopteryx), i loro crani erano molto più allungati, spesso privi di denti e talvolta muniti di bizzarre creste dalle forme più svariate, le loro ali erano più strette e la coda molto ridotta; erano inoltre più abili nel muoversi a terra. Esempi degni di nota sono Pteranodon, Tapejara, Ornitocheirus e Dsungaripterus.
Nel corso dei decenni, soprattutto di quello appena conclusosi, i paleontologi hanno raccolto una quantità di informazioni sugli Pterosauri che ha permesso di delineare molti aspetti della loro vita, dalla nascita fino all’inevitabile conclusione. Una delle scoperte più interessanti è quella, avvenuta nel 2004, di uova fossili provenienti da siti della Cina e dell’Argentina. Questi straordinari ritrovamenti hanno mostrato che le uova avevano un guscio molto sottile, dell’ordine dei 30 micron di spessore (1 micron equivale a un millesimo di millimetro), e dalla consistenza molle e flessibile come le uova di coccodrilli e tartarughe. Si ritiene che gli Pterosauri non covassero le loro uova, ma che le coprissero con terra o piante, in una sorta di incubatrice naturale. La cosa più sorprendente, però, è che gli embrioni contenuti in tali uova fossili mostrano arti già pienamente sviluppati, il che fa ipotizzare che i piccoli Pterosauri fossero in grado di camminare e forse addirittura di volare poco tempo dopo la schiusa, senza necessitare della cure parentali tipiche degli uccelli.
Metabolismo e Alimentazione
Studi sulle ossa degli Pterosauri hanno mostrato che questi animali possedevano un tasso metabolico analogo a quello di mammiferi e uccelli. Se da un lato ciò indica che erano volatori attivi (d’altronde, a cosa serve un metabolismo elevato se ti limiti a farti sospingere dal vento?), d’altro canto vuol dire che dovevano nutrirsi spesso e volentieri per mantenere in efficienza il loro organismo.
Ma cosa mangiavano gli Pterosauri?
Ancora una volta la loro anatomia, soprattutto del cranio, ha fornito indizi interessanti. Gran parte dei fossili di Pterosauro conosciuti provengono da sedimenti di origine marina, e quindi appartengono ad animali che volavano nei pressi della costa e si spingevano in mare aperto; ossa e scaglie di pesce rinvenute in alcuni esemplari confermano che il pesce costituiva il loro piatto principale. Il vero quesito è come si procurassero il pesce; il collo corto e poco flessibile, e la forma delle mascelle esclude che si tuffassero come fanno alcuni uccelli marini odierni; alcune ipotesi suggeriscono che galleggiassero sull’acqua immergendo il muso per catturare pesci di passaggio. Il celebre Pteranodon sembra che possedesse addirittura una sorta di sacca sotto la gola che funzionava probabilmente come quella del pellicano. Altri Pterosauri, come Pterodactylus, avevano piedi larghi e forse palmati, che avrebbero permesso loro di muoversi agevolmente su terreni cedevoli come il fango o la sabbia per andare in cerca di pesci o molluschi lungo la costa. Il più bizzarro in tal senso era Pterodaustro, dalla cui mandibola spuntavano decine e decine di minuscoli denti aghiformi che formavano una superficie filtrante analoga ai fanoni delle balene; si ritiene che questo animale potesse immergere il becco in acqua catturando tutto ciò che veniva trattenuto dai denti, come fanno oggi i fenicotteri. Altri Pterosauri, come Dsungaripterus, avevano becchi adatti a stritolare molluschi e crostacei come schiaccianoci preistorici; altri ancora, come Tapejara, avevano becchi corti e robusti, che avrebbero potuto spaccare frutti o semi.
Vi erano però Pterosauri i cui resti provengono da rocce di ambiente continentale, dove hanno a loro volta sviluppato varie strategie e adattamenti per procacciarsi il cibo. Ad esempio Anurognathus, col suo muso corto e i denti ad ago, si ritiene cacciasse insetti che catturava al volo. Istiodactylus aveva una serie di denti affilati che si incastravano alla perfezione, perfetti per tranciare pezzi di carne dalle carcasse.
E poi c’erano gli Azhdarchidae; questi Pterosauri, ai quali appartengono i pesi massimi Quetzalcoatlus e Hatzegopteryx, erano privi di denti, ma la loro anatomia lascia pensare che fossero ben adattati a camminare a quattro zampe sul terreno; benché questi titani vantassero un’apertura alare pari a quella di un aereo da turismo, recenti ipotesi li raffigurano per gran parte del loro tempo a terra a caccia di prede, che catturavano grazie al lungo becco e all’altrettanto lungo (seppur rigido) collo, un po’ come gli attuali aironi.
Già, aironi alti cinque metri e con un becco lungo due e mezzo…è probabile che un umano avrebbe costituito un bocconcino appetitoso, per quelle bestie!
Il modo di Volare
Gli studi più interessanti sono senz’altro quelli condotti sul volo degli Pterosauri. Laddove la concezione originaria vedeva gli Pterosauri come poco più che scheletrici mostri squamosi, oggi sappiamo che innanzitutto non erano squamosi, e che in realtà erano decisamente nerboruti per via dei forti muscoli, soprattutto nella zona del petto e degli arti, che consentivano loro di decollare e di mantenersi in volo.
Dalla conformazione della membrana alare è stato possibile fare ipotesi sullo stile di volo adottato da questi animali: la maggior parte degli Pterosauri noti aveva ali lunghe e strette, simili nelle proporzioni a quelle che si osservano in molti uccelli marini odierni che planano sospinti dai forti venti costieri, e per questo motivo sono appunto definiti veleggiatori costieri. In virtù di ciò i paleontologi ritengono che gli Pterosauri che vivevano in ambienti costieri si comportassero allo stesso modo, lasciandosi trasportare dal vento per compiere lunghe e rapide planate variando l’altitudine di volo con potenti colpi d’ala. Il propatagio, sostenuto dall’osso pteroide, avrebbe contribuito a modificare la curvatura dell’ala, mentre l’uropatagio posteriore avrebbe aiutato l’animale a cambiare direzione in volo. In linea di massima si ritiene che tutti gli Pterosauri fossero ottimi volatori, con alcuni più improntati a un volo planato, e altri più abili nelle manovre aeree.
Entrano in gioco a questo punto le vistose creste che ornavano il capo di molti Pterosauri: a lungo si è pensato che queste ornamentazioni servissero da supporto durante il volo, fungendo da timoni stabilizzanti o da carene per fendere l’aria. Dai ritrovamenti fossili è però emerso che tali creste erano molto sviluppate negli esemplari adulti, mentre in quelli immaturi erano appena accennate; se fossero servite come supporto durante il volo è logico pensare che avrebbero avuto le stesse proporzioni in individui di qualunque età; essendo più pronunciate negli adulti si è giunti a ipotizzare che in realtà fungessero da struttura di display, allo scopo di riconoscere i propri simili o di attirare un partner.
Recenti studi hanno anche fatto luce su una questione alquanto problematica, e cioè come facessero gli Pterosauri a spiccare il volo. Grazie alle conoscenze acquisite sul loro modo di camminare e sulla loro muscolatura, sappiamo che erano perfettamente in grado di decollare da terra, sebbene in un modo del tutto peculiare: partendo da una postura quadrupede, si davano una prima spinta con le zampe posteriori e poi, facendo leva sull’articolazione della mano, si lanciavano in avanti per poi spalancare le ali e prendere quota; un modo di decollare ben diverso da quello degli uccelli, ma ritenuto plausibile alla luce della loro diversa anatomia.
E a terra?
A proposito di terra, come se la cavavano gli Pterosauri quando non solcavano i cieli del Mesozoico? Una risposta ci è giunta dal ritrovamento di numerosi icnofossili, ossia le impronte lasciate sul fango o sulla sabbia da un animale e in seguito fossilizzatesi. Osservando la posizione delle tracce delle mani rispetto a quelle dei piedi, è emerso che gli Pterosauri avevano una postura digitigrada degli arti anteriori e plantigrada per gli arti posteriori; in altre parole, toccavano terra con le sole dita delle mani, mentre poggiavano a terra l’intera pianta del piede. Ma c’è di più: poiché le impronte di mani e piedi sono pressoché allineate, i paleontologi hanno ipotizzato che gli pterosauri che hanno lasciato tali impronte avessero una postura parasagittale, cioè una postura dove gli arti sono perpendicolari al terreno; una postura assai efficiente per la locomozione a terra, che li rendeva dei camminatori provetti. Ciò raggiunse la sua massima espressione nei già citati azdarchidi, che probabilmente trascorrevano gran parte del loro tempo aggirandosi a terra in cerca di prede.
C’è però un piccolo problema: le impronte di Pterosauro più antiche che conosciamo risalgono al Giurassico medio, laddove andando più indietro nel tempo non si hanno testimonianze dei momenti trascorsi a terra degli Pterosauri. Fermo restando che potremmo semplicemente non averle ancora trovate, una possibile spiegazione potrebbe stare nelle differenza anatomiche tra i due gruppi di Pterosauri: i “ranforincoidei” avevano un ampio uropatagio teso fra le zampe posteriori che si attaccava all’intera gamba fino al quinto dito del piede; una simile membrana a unire le zampe avrebbe fortemente limitato i loro movimenti, un po’ come quando si annodano fra loro i lacci delle scarpe a una persona per fargli uno scherzo di dubbio gusto; al contrario, gli pterodattiloidei, con la loro coda corta, avevano un uropatagio assai meno esteso, che non avrebbe in alcun modo ostacolato la falcata. I “ranforincoidei”, tuttavia, presentavano artigli stretti e incurvati, e l’articolazione della gamba al bacino permetteva un certo grado di divaricamento della gambe che permetteva di abbassare il centro di gravità; unitamente alla loro taglia relativamente ridotta (arrivavano al massimo alla stazza di un’aquila), si tratta di caratteri compatibili con uno stile di vita da arrampicatori; i “ranforincoidei”, quindi, è probabile che stessero appollaiati a rupi o tronchi d’albero (ma non appesi ai rami come pipistrelli, in quanto i loro piedi non li avrebbero sorretti); i loro cugini pterodattiloidei, giunti più tardi, si sarebbero invece mossi a terra, evitando così la competizione.
In conclusione, gli Pterosauri erano organismi ben diversi da come erano un tempo raffigurati, mostri alati più simili ai draghi della mitologia che agli agili volatori che le ricostruzioni più recenti ci propongono. Di certo, si trattava di esseri viventi straordinari, che pur non avendo lasciato discendenti sono una testimonianza dell’incredibile varietà di forme di vita che hanno popolato il nostro pianeta nel corso degli eoni.
Link e letture consigliate:
- Michael J. Benton, Paleontologia dei Vertebrati, traduzione italiana a cura di Silvio Renesto e Andrea Tintori, Franco Lucisano Editore, 2000.
- Witton MP, Naish D (2008). McClain, Craig R.. ed. “A reappraisal of azhdarchid pterosaur functional morphology and paleoecology”. PLoS ONE 3 (5): e2271. Una pubblicazione sulle possibili abitudini terricole degli azdarchidi; l’articolo è disponibile e scaricabile gratuitamente in PDF dal sito http://www.plosone.org
- http://www.pterosaur.net/index.php, un sito ricco di informazioni curato da esperti di Pterosauri.
- https://www.youtube.com/watch?v=ALziqtuLxBQ è una ricostruzione del modo con cui gli Pterosauri spiccavano il volo.
Bravo Dani!…ammetto però che non l’ho ancora letto tutto…
Da leggere tutto assolutamente Cristiana!!!!!
Ci siamo visti alla riunione della SPI, complienti molto ben fatto, soprattutto continuare così.
Grazie a tutti per i commenti positivi, mi fa piacere sapere che lo avete apprezzato!