Daniele Tona – 30 novembre 2017
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Il post di oggi sarà piuttosto breve, non starò a sviscerare nel dettaglio un argomento o una scoperta recente; voglio piuttosto mostrare una cosa curiosa in cui mi sono imbattuto qualche tempo addietro a casa di amici (beh, tecnicamente nell’androne del palazzo, ma il senso è quello). Nell’osservare le piastrelle del pavimento il mio occhio è caduto su una piastrella in particolare, sulla quale ho immediatamente riconosciuto una forma assai peculiare.
Come si può vedere dalla foto la forma è quella inconfondibile di una conchiglia fossilizzata, caratterizzata da una serie di camere che si susseguono formando una struttura dal profilo cosiddetto a planispirale, cioè una spirale che si sviluppa su un piano bidimensionale. La conchiglia è visibile in sezione per lo più parallela al piano su cui si sviluppa la spirale; le linee ondulate che sembrano partire dal centro in tutte le direzioni sono in realtà i setti, cioè le pareti che delimitano le varie camere in cui è divisa la conchiglia che si formano quando l’animale, che viveva sempre nella camera più esterna, cresceva al punto da cominciare a starci stretto e così ne produceva una nuova più adatta alla sua taglia.
Quale animale può aver prodotto una conchiglia del genere? La forma generale e il profilo dei setti lasciano ben poco adito a dubbi: si tratta di un mollusco della classe dei cefalopodi, i cui gusci concamerati sono molto facili da riconoscere e si distinguono facilmente da quelli dei gasteropodi che sono privi di suddivisioni interne. In sezione il profilo dei setti è nettamente ondulato e il suo andamento diviene più marcato in prossimità del contatto (detto linea di sutura) tra il setto e la parete esterna del guscio; questo carattere, particolarmente evidente sul lato destro della conchiglia, permette di restringere il campo alla sottoclasse degli ammonoidi escludendo altri gruppi di cefalopodi come ad esempio i nautiloidi i cui setti sono concavi e in sezione appaiono come semplici linee curve. Scendere più in dettaglio nell’identificazione, ahimè, non è possibile, almeno per chi come me non è un esperto di ammonoidi: alcuni caratteri diagnostici a livello di specie, come l’ornamentazione esterna del guscio e le linee di sutura, non sono chiaramente visibili a causa di vari fattori intrinsechi alla roccia da cui è stata ricavata la piastrella (primo fra tutti, come vedremo fra poco, la dissoluzione dell’aragonite che formava il guscio) o legati alla lavorazione, in particolare il taglio della lastra di roccia, la lucidatura e, elemento tutt’altro che banale, il fatto di avere solo una vista in sezione di un fossile che per essere correttamente identificato richiede l’osservazione nelle tre dimensioni.
Quanto all’età e alla formazione geologica di provenienza si possono solo fare supposizioni perché non sappiamo dove è stata cavata la roccia che racchiude il fossile e quindi non abbiamo dati sulla sua collocazione geografica né su quella stratigrafica. Alcuni indizi ci permettono però di restringere il campo: gran parte delle volte in cui si osservano conchiglie fossili in sezione sulle lastre di pavimenti, ripiani o pareti la roccia che le contiene è un tipo particolare di pietra ornamentale di colore rossastro. Si tratta della cosiddetta litofacies a rosso ammonitico, termine usato per indicare calcari e calcari marnosi (cioè contenenti una certa componente di sedimento terrigeno) ricchi di noduli e dal caratteristico colore rosso o rosato causato dall’ossidazione del ferro presente nel sedimento. Il nome della facies deriva tanto dal colore quanto dall’abbondanza di fossili conservati al suo interno, primi fra tutti i cefalopodi (ammoniti, nautiloidi e belemniti) e poi bivalvi e crinoidi; questi fossili spesso sono mal conservati, e in particolare i cefalopodi si preservano per lo più come modelli interni privi della conchiglia vera e propria la cui struttura originaria in aragonite (una forma di carbonato di calcio) si è dissolta in sede di diagenesi post-deposizionale. Per questo motivo è molto difficile arrivare a identificare il fossile fino al livello del genere o della specie, in quanto mancano strutture interne ed esterne diagnostiche di determinati taxa.
La facies a rosso ammonitico si è formata in ambiente marino in genere da fango calcareo con una componente più grossolana data principalmente da frammenti scheletrici di vari tipi di organismi, depositatosi in condizioni di buona ossigenazione che hanno determinato l’ossidazione del sedimento. Questi depositi hanno poi subito una profonda diagenesi, cioè una serie di processi successivi al seppellimento che hanno trasformato il materiale originario dissolvendo il carbonato, riprecipitandolo negli interstizi, formando noduli e deformandoli; talvolta tra la dissoluzione e la successiva rideposizione poteva trascorrere un esteso lasso di tempo, sufficiente da formare lacune stratigrafiche e formazione di superfici bioturbate ricche in ferro, manganese e fosfati (i cosiddetti hardgrounds), sicché questa facies rappresenta quella chiamata serie condensata, ossia uno spessore di roccia relativamente ridotto che copre un arco di tempo piuttosto lungo, ma nel quale non si è conservato tutto il sedimento depositatosi in quell’intervallo poiché parte del materiale sedimentato è stato asportato dalla sequenza stratigrafica a opera di vari processi.
Se effettivamente il nostro fossile proviene da livelli a rosso ammonitico significa che la sua età può andare dal Triassico Medio al Giurassico Superiore, dove i momenti di massima diffusione di questo tipo di facies si hanno durante i piani Toarciano e Aaleniano (tra 182 e 170 milioni di anni fa, al passaggio dal Giurassico Inferiore al Medio) per l’orizzonte detto Rosso Ammonitico Lombardo, e dal Bajociano al Titoniano Inferiore (Giurassico Medio-Superiore, tra 170 e 150 milioni di anni fa) per l’orizzonte detto Rosso Ammonitico Veronese. Attualmente è quest’ultimo quello maggiormente estratto come pietra ornamentale, perciò il nostro fossile potrebbe provenire da cave che lavorano l’orizzonte più recente della facies.
In conclusione, possiamo dire con esattezza a quale specie appartenga la conchiglia in cui mi sono imbattuto? Invero no, almeno non nelle condizioni in cui si trova. Come in tutte le storie, però, possiamo trarre una morale di fondo che dia un senso a queste righe: i fossili si trovano nei posti più inaspettati, basta aguzzare la vista e si rimarrà sorpresi dei luoghi da cui possono saltar fuori; questo vale non solo per le lastre di pietra ornamentale che decorano le città, ma anche per le rocce che affiorano naturalmente sul terreno. L’importante è sapere dove e cosa cercare, e per saperlo non c’è nulla che aiuti più della curiosità e della voglia di espandere le proprie conoscenze.